il manifesto 17.2.18
Orbán verso la vittoria con la propaganda anti-immigrati e ong
Ungheria.
Il voto dell’8 aprile, secondo i sondaggi, avrà un esito scontato. Il
premier, nonostante le grane giudiziarie, punta dritto al suo terzo
mandato
di Massimo Congiu
BUDAPEST Il primo
ministro ungherese Viktor Orbán è alle prese con una grana giudiziaria.
L’Ufficio antifrode dell’Ue (Olaf) denuncia una serie di irregolarità in
operazioni svoltesi fra il 2009 e il 2014 per modernizzare gli impianti
di illuminazione in una decina di città di provincia del paese. Si
parla di attività che fruttarono ai beneficiari la somma di oltre 40
milioni di euro a fronte di appalti che, secondo l’Olaf erano gestiti in
modo tale da premiare sempre la ditta Elios, di proprietà del genero di
Orbán. Il tutto sarebbe avvenuto con la complicità dei sindaci
interessati, tutti esponenti del Fidesz, il partito dell’attuale premier
ungherese. La procura, controllata dal governo, ritarda l’avvio delle
indagini e il primo ministro ostenta la solita sicurezza e porta avanti
la sua campagna elettorale sicuro della «giusta vittoria» per un terzo
mandato.
ORBÁN afferma con soddisfazione di aver debellato, nel
suo paese, l’immigrazione clandestina. Quello dei flussi migratori
provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente è un tema su cui il premier
si esprime sottolineando la necessità della linea dura, perché a suo
avviso il fenomeno mette a repentaglio la sopravvivenza dell’Europa e
della sua identità culturale. Su questo Orbán gioca da anni una partita
politica che gli ha fruttato non pochi consensi. L’argomento è al centro
della sua campagna elettorale che vede il paese percorso da cartelloni
governativi scritti per agitare lo spauracchio dell’invasione musulmana
del paese e dell’intero Vecchio Continente.
Il premier è in
sintonia con gli altri leader del Gruppo di Visegrád (V4, costituito da
Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia) nel respingere la
politica Ue sul fronte migranti e il sistema dei ricollocamenti che dal
V4 viene considerato un ricatto in quanto vincola la possibilità di
ottenere finanziamenti comunitari alla condizione di ospitare migranti. I
paesi di Visegrád vivono la politica dell’accoglienza come
un’imposizione che non tiene conto del volere dei governi nazionali e
delle popolazioni interessate.
Sarà però utile sottolineare il
fatto che, secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, nel 2017
l’Ungheria avrebbe accolto in segreto 1.291 profughi che si trovavano al
confine meridionale, accordando loro il diritto d’asilo e lo status di
rifugiati o la protezione umanitaria. Lo avrebbe reso noto l’Ufficio per
l’immigrazione (Bah), dietro insistenze della stampa. Il paese doveva
ospitare 1.294 richiedenti asilo ricollocati dall’Italia e dalla Grecia,
ma il governo ha sempre respinto questo principio, nonostante il
verdetto della Corte Ue. Del resto risulta che i 1.291 dell’anno scorso
non hanno niente a che fare con la procedura dei ricollocamenti.
IL
CONFRONTO con Bruxelles è da tempo uno dei cavalli di battaglia di
Orbán il quale si prepara alle elezioni politiche dell’8 aprile con
sondaggi che lo vedono in grande vantaggio rispetto ai suoi avversari
politici. Alcune cifre parlano di un 34% a favore del partito
governativo Fidesz, seguono a quota 13% Jobbik, che ha deciso di mettere
da parte il radicalismo per vestire i panni della forza politica
conservatrice sì, ma moderata, i socialisti al 9%, alcuni soggetti
politici liberali e centristi che si collocano fra il 6% e il 3% e
Momentum che proviene dalle lotte della società civile e che starebbe
intorno all’1%.
A GENNAIO si è avuta notizia di procedimenti
avviati dalla Corte dei Conti, controllata dal governo, per presunte
irregolarità finanziarie da parte dell’opposizione. «È un attacco alla
democrazia, Orbán vuole annientarci», è stato il commento di Gábor Vona,
presidente di Jobbik. Gli ha fatto eco Péter Juhász, leader di Együtt
(Insieme, centro), secondo il quale le elezioni dell’8 aprile «non
saranno né libere né trasparenti», «cercheremo, comunque, di sconfiggere
il regime corrotto di Orbán», ha aggiunto. Non sarà facile dal momento
che la legge elettorale, voluta dal Fidesz, favorisce i partiti più
forti; l’opposizione avrebbe delle opportunità solo se desse vita a una
lista unitaria con candidati nei singoli collegi uninominali, ma allo
stato attuale non sembra si stia aprendo uno scenario del genere.
Nel
paese il peso della propaganda governativa è schiacciante, Budapest e
le altre città ungheresi si sono riempite di manifesti con su scritto
«Stop Soros». Il governo sostiene infatti la tesi che attribuisce al
magnate americano di origine ungherese, il piano di riempire l’Europa di
milioni di migranti musulmani. A questo proposito, nei giorni scorsi è
stato presentato al Parlamento un pacchetto di leggi atto a colpire
pesantemente le Ong impegnate nell’assistenza ai migranti e in
particolare quelle finanziate dall’estero, quindi, secondo il governo,
riconducibili a Soros. Le autorità di Budapest vorrebbero anche impedire
a quest’ultimo l’ingresso nel paese. Alle obiezioni fatte a suo tempo,
che facevano notare al ministro dell’Interno Sándor Pintér
l’incostituzionalità del provvedimento in quanto Soros è cittadino
ungherese, questi ha risposto che l’interessato ha la doppia
cittadinanza e quindi il provvedimento è applicabile.