Il Fatto 8.2.18
Macerata e i nostri famosi “valori”
di Daniela Ranieri
La
cronaca nera ha regalato alla campagna elettorale un giocattolo
pericoloso e conturbante. La duplice vicenda di Macerata, a un mese dal
voto più rischiosamente anti-democratico della Storia repubblicana,
assume l’aspetto di un mostro a due teste di potente carica allegorica.
Una ragazza appena maggiorenne viene fatta a pezzi a Macerata
presumibilmente da un nigeriano, che confessa di averla condotta da uno
spacciatore per la sua ultima dose di eroina e poi in casa sua; un
giovane marchigiano decide di “vendicarla” scaricando la sua pistola
addosso a sei persone di pelle nera a caso.
Il linguaggio non è
mai innocente. Per chi detiene o vuole assumere il potere sapendo di non
poter contare sulla forza persuasiva dei dati razionali, l’evento è
ghiotto. Mentre il cadavere della ragazza giace a pezzi sul tavolo
autoptico, Salvini accusa la sinistra accogliente di avere “le mani
sporche di sangue”, dimenticando che la cosiddetta sinistra si è
guardata bene dal toccare la vigente Bossi-Fini, inasprita semmai con le
misure anti-sbarchi, ma pro-galere libiche, di Minniti. In conseguenza
del raid razzista, il nigeriano diventa il capro espiatorio della “bomba
sociale dell’immigrazione”, come dice B., che sorpassa Salvini
vaneggiando di deportazioni di massa, e di Renzi, che abbraccia
l’assurda contro-deduzione imputandone però la responsabilità a B. (“Se
in Italia arrivano i migranti è per colpa della guerra in Libia e il
premier allora era lui”). Le sei vittime sono innocenti del reato
ascrittogli da Traini, ma colpevoli di risiedere sul nostro sacro suolo,
e per ciò stesso sono potenziali criminali.
Traini, al contrario,
non è il rappresentante del razzismo neo-fascista reso familiare e
glamour da stampa e Tv, ma “un delinquente” (Salvini), “uno squilibrato”
(B.), “una persona squallida e folle” (Renzi). Il suo non è un atto
politicamente connotato, ma il gesto isolato di una particella deviante
della nostra sana democrazia. (Solo Pietro Grasso ha parlato di
fascismo). Per Renzi, persino, è un “pistolero” che cercava di “portare
giustizia” ma ha ecceduto, purtroppo. Si giustifica il raid nazifascista
inquadrandolo dentro un pattern di vendetta etnica. La Lega, partito in
cui milita Traini, acquista consensi perché parte dell’elettorato
reputa più grave un presunto omicidio commesso da un nero in un contesto
di cronaca nera che sei omicidi tentati da un bianco su base razziale.
La
Verità, quotidiano di posizioni casapound-leghiste, si accanisce sul
corpo della vittima: “Testa, seno e bacino fatti a pezzi”. E in un
corsivo delizioso avanza i risultati di sue particolari indagini che
inchiodano il nigeriano: “Per far sparire un cadavere e rendere
difficile il suo ritrovamento, ci sono tecniche di comprovata
affidabilità”, forse comprovata in redazione; ad esempio “scavare una
buca e sotterrarlo, scioglierlo nell’acido, buttarlo in mare o in un
fiume con un peso”, insomma come si faceva noi italiani alla vecchia
maniera. Dalla scelta di non adottare nessuna delle tecniche che ci
hanno resi famosi nel mondo, il giornale avanza “l’ipotesi di un macabro
rituale”, di “magia nera, e in particolare lo juju, una forma religiosa
tradizionale predominante nelle zone sud-occidentali della Nigeria”. Ma
anche ai Parioli, dove mesi fa una donna è stata fatta a pezzi e
gettata in un cassonetto dal fratello, a Teramo (Adele Mazza smembrata
da Romano Bisceglia nel 2010), a Pisa (Oksana Auskelyte, 27 anni, uccisa
da Andrea Falaschi e messa dentro una valigia nel 2008), solo alcuni
toponimi della nostra tradizione di autarchici femminicidi.
Il
Corriere (della Sera, non del Vino) informa che c’è un altro attore in
questa storia. “E adesso chissà che peso grande ha sul cuore, questo
45enne con la tuta rossa da meccanico e i sandali da francescano”. È
l’uomo che ha fatto salire Pamela sulla sua auto mentre fuggiva dalla
comunità di recupero e ne ha abusato sessualmente in cambio di 50 euro.
Ora è ritratto nel suo giardino “dove la mimosa è già in fiore”: “Penso
sempre a lei”. Il set truculento della morte per mano dell’uomo nero si
arricchisce di un brividino placido, rassicurante e provinciale. La
dramatis personae, la lista dei ruoli in tragedia, offre una cronaca
auto-assolutoria: i nigeriani assassini feroci, persino “cannibali” per
La Verità, che insidiano “le nostre donne e i nostri valori” come da
retorica centro-destrorsa; il paesano semplice, che paga “la bellezza”
su un materasso in un garage, finito dentro un gioco tribale di uteri
asportati e addomi recisi. “Adesso gli vengono mille pensieri, mille
rimorsi e anche un po’ di vergogna”, povera stella. “Ora non resta che
il dolore e nessun piacere”, dice il Corriere, quel piacere di abusare
di una persona in grave difficoltà invece di offrirle aiuto. È nel
destino di martire di questa giovane donna che emergono, come su una
cartina di tornasole, le rimozioni della nostra cultura.