Il Fatto 28.2.18
Il berlusconismo ha già vinto
di Eugenio Ripepe
La
stampa ha dato maggior rilievo alla dichiarazione di Scalfari di
preferire Berlusconi a Di Maio, che non a quella di ritenere lo stesso
Berlusconi “adatto alla cosa pubblica”, che era invece ben più
impegnativa. Perché ognuno è libero di preferire qualcuno a qualcun
altro, come pure di credere a uno invece che a un altro – per esempio a
quello che di Berlusconi dice Berlusconi, invece che a quello che di
Berlusconi dice Travaglio – ma da chi all’improvviso dice il contrario
di quello che ha detto per vent’anni e forse più, uno straccio di
motivazione si dovrebbe pur pretendere.
Cosa è cambiato, per
giustificare un revirement così clamoroso? Scalfari lo spiegherà se e
quando, ispirandosi a Rousseau – che in Rousseau giudice di Jean-Jacques
volle dimostrare la coerenza nascosta dietro le sue contraddizioni –
metterà mano a un suo Scalfari giudice di Eugenio. Per noi, e per ora,
delle due l’una, come amano dire i causidici: o è cambiato Berlusconi o è
cambiato Scalfari. Il primo, se è cambiato, certo non è cambiato in
meglio, visto che ha continuato a combinarne di tutti i colori con ritmo
crescente. Ma che altro dovrebbe fare di più un pover’uomo – o ricco
che sia – per essere dichiarato “inadatto alla cosa pubblica”? A tacer
d’altro, come pure amano dire i causidici, basti pensare che lui e gli
altri del trio, anzi della triade inizialmente al vertice di F. I. non
possono più neanche essere definiti personaggi spregiudicati dai loro
detrattori per il semplice motivo che sono ormai tutt’e tre pregiudicati
a pieno titolo. A cambiare deve essere stato quindi Scalfari, il quale
dovrebbe spiegare al se stesso di prima come si possa ritenere “adatto
alla cosa pubblica” un signore inibito per legge a ricoprire cariche
pubbliche, se non dando per scontato che l’illegalismo di Berlusconi sia
davvero una mostruosa invenzione della magistratura per eliminarlo, in
combutta con gli autori dei 5 o 6 (il conto preciso si è perso) colpi di
stato orditi a suo danno. Il dubbio allora è: sarebbe possibile trovare
normale il fatto che Scalfari trovi normale dire quello che dice, se la
Weltanschauung berlusconiana non avesse ormai conquistato l’Italia? Un
dubbio avvalorato dalla vicenda delle firme occorrenti alla lista Bonino
per prendere parte alle elezioni. La Bonino pretendeva di essere
esentata da questo adempimento assumendo che l’esistenza del partito
radicale non ha bisogno di essere comprovata raccogliendo firme. Solo
che la sua non era una lista del partito radicale, il quale anzi, come
si sa, invita a non votare per nessuno, quindi neanche per lei (che coi
suoi ex compagni, oltre all’invidiabile certezza di avere sempre
ragione, e alla meno invidiabile convinzione che non si parli mai
abbastanza o abbastanza bene di loro per una qualche congiura
cosmico-storica, sembra ormai avere in comune solo certi vezzi
linguistici: “quest’oggi”, “quant’altro”, “fare i tavoli” ecc.).
L’altra
tesi della Bonino era che la legge da lei contestata non dovesse essere
applicata perché altrimenti la sua lista si sarebbe trovata in
difficoltà, e quanto meno a essa si dovesse concedere una deroga con una
norma ad hoc; soluzione caldeggiata anche da alcuni critici della
legislazione ad personam berlusconiana, senza avvedersi che la norma ad
hoc, sarebbe stata anche una norma ad personam (o, per così dire, ad
listam).
Nemmeno questo argomento ebbe il successo sperato; ma,
come nelle fiabe, ecco infine arrivare un principe azzurro nelle vesti
di un deputato disposto a testimoniare che nell’ultima legislatura la
lista della Bonino era stata rappresentata in parlamento da lui,
all’insaputa di entrambi, oltre che del resto del mondo. “E tutti
risero”, come nel film di Bogdanovich: non perché la cosa apparisse
ridicola, ma per la soddisfazione di vedere gabbata l’iniqua legge:
urrà! bene! bravi! bis!
In prima fila, tra i plauditores, tanti
(ex?) anti-berlusconiani entusiasti di fronte a una furbesca umiliazione
del diritto che prima li avrebbe fatto indignare. Il che non può non
rafforzare il timore che il berlusconismo abbia ormai conquistato
l’Italia. Qualche scettico blu diceva però che la soluzione sapeva di
contratto in frode alla legge, e che si era assistito a un volgare
matrimonio d’interesse. Ma come, non lodavano tutti il principe azzurro
per il suo beau geste? “Eh, ci avrà avuto la sua bella convenienza anche
lui” non avrebbero mancato di dirsi le sagge azdore romagnole di una
volta. E a ragione, perché se la beneficata aveva ottenuto di
partecipare alle elezioni aggirando la legge, al beneficante ne era
derivata la possibilità di rientrare nei giochi (e anche nel parlamento)
dai quali sembrava ormai tagliato fuori. A proposito della Bonino,
comunque, sia consentito darle atto en passant di non aver nascosto, né
prima né dopo, la sua disponibilità a collaborare sia col Pd. sia con FI
pur di perseguire gli obiettivi che le interessano. Come dire che Renzi
e Berlusconi per lei pari sono. E magari ha pure ragione.