lunedì 26 febbraio 2018

Corriere 26.2.18
Anteprima Con «Il monastero delle ombre perdute» (Einaudi Stile libero) Marcello Simoni ripropone il suo personaggio che agisce nel Seicento
Torna l’inquisitore illuminista
Girolamo Svampa, il domenicano che indaga sui fatti e mette in dubbio le superstizioni
di Alessia Rastelli


«Se il Sant’Uffizio nasce nel XIII secolo, è a cavallo del Concilio di Trento che giunge al suo massimo potere. Ed è proprio a partire da questo momento che intraprende, in modo tanto sistematico quanto spietato, una guerra intesa da un lato a uniformare la devozione cristiana e dall’altro a castrare ogni residuo folklorico (paganeggiante) sopravvissuto alle epoche precedenti».
Così su «la Lettura» Marcello Simoni introduceva, poco più di un anno fa, l’idea di ambientare nuovi romanzi ed enigmi oltre l’amato e fecondo Medioevo, cui ha dedicato le sue prima saghe bestseller. Oltre lo stesso Concilio di Trento (1545-1563), per approdare in una Roma secentesca, sotterranea e barocca, di gabinetti alchemici, cripte, palazzi cardinalizi, dove le vittime dell’Inquisizione non sono solo le streghe ma anche scrittori e tipografi, illustratori, attori, compositori: divulgatori del libero pensiero.
La prima tappa è stata la pubblicazione, nel novembre 2016, de Il marchio dell’inquisitore , per Einaudi Stile libero. E adesso arriva, per lo stesso editore, Il monastero delle ombre perdute (in libreria da domani), secondo thriller storico che ha per protagonista Girolamo Svampa, domenicano al servizio del Sant’Uffizio. Con lui tornano padre Francesco Capiferro, segretario dell’Indice, e il fedele bravo Cagnolo Alfieri. Alle prese, questa volta, con un’indagine su un uomo trovato morto nelle catacombe di Domitilla, dove è stata avvistata una donna dal volto di capra. Il sospetto è che l’omicidio sia frutto di stregoneria. A scovare il cadavere è una giovane fanciulla, Leonora, appartenente a una famiglia molto vicina ai potenti Gonzaga. E dunque fin dall’inizio l’intrigo si complica: giochi di potere, complotti orditi (anche) dai vertici della Chiesa, avvelenamenti, si sommano a segni diabolici e sospetti di eresia.
Capitoli brevi, numerosi protagonisti e colpi di scena, rigorosa documentazione storica, caratterizzano, come i precedenti, questo libro di Simoni, la cui scrittura si fa qui più ricercata. Quasi sempre l’autore entra nello stato d’animo dei personaggi non svelandolo direttamente, ma descrivendo i gesti del corpo, le reazioni fisiche. E in questo mostra di mettere a frutto le sue qualità migliori: di osservatore e narratore («Il volto aveva l’inespressività di una maschera di cera, il corpo la pesantezza di un vecchio», fin quasi alla meta-dichiarazione che svela la tecnica: «Nel corso della conversazione aveva assunto sempre più la posa del soldato, in una sorta di metamorfosi che denotava un bisogno di sfogarsi non tanto a parole quanto a gesti»).
Ben disegnata, con forti chiaroscuri, è la figura del protagonista. «Fra’ Girolamo non è diventato frate domenicano per vocazione, ma per necessità», dice nel libro uno dei suoi superiori, monsignor Niccolò Ridolfi. Per vendetta, aggiungiamo, contro un infame membro del Sant’Uffizio. Ed è qui la chiave del fascino dello Svampa. Un inquisitore tutto raziocinio, che non crede nei sospetti ma solo nei fatti, e che mette in dubbio, lui per primo, le superstizioni che accendono roghi e bruciano idee.
Abile è anche il coinvolgimento nell’intreccio fittizio di personaggi storici, che consente di assaporare la trama su più livelli di lettura e rimandi ad altro. A chi abbia studiato anche soltanto a scuola Giambattista Basile (1566-1632) e le sua fiabe popolari in dialetto napoletano, raccolte ne Lo Cunto de li cunti , incuriosisce vedere il letterato, ingenuo e sognatore, in veste di amante. Così come il lettore freme quando Basile finisce pericolosamente al centro dell’indagine: la causa è proprio un cunto , una storia in cui una maga maledice una fanciulla e ordina che le si trasformi «la faccia in quella d’una capra».
Figure storiche vissute nel «secolo di ferro» sono pure le affascinanti sorelle di Basile: celebre fu in particolare Adriana, cantante lirica di straordinaria bellezza, madre di Leonora, la giovane che nel libro scopre l’omicidio, anche lei realmente esistita, anche lei soprano. Ma centrale nel volume è soprattutto Margherita. Quest’ultima «aveva sempre trovato la sorella maggiore più bella di lei — si legge a metà del libro — ma pur invidiandola non era mai riuscita a odiarla. E questo per merito della dote assai più preziosa di cui il Creatore le aveva fatto dono. A Giambattista l’estro, a Adriana la suadenza e a lei il talento per l’intrigo». Metà dark lady , metà aiutante del protagonista, Margherita è un personaggio che deve svelarsi ancora completamente. Indizio quest’ultimo, come anche il finale, che ci lascia presagire un nuovo romanzo della serie.