Corriere 15.2.18
Le incognite di una legge tra realtà e propaganda
di Massimo Franco
È
una mappa politica tutta da decifrare, quella che emergerà dalle
elezioni del 4 marzo. L’incertezza sugli effetti della riforma implica
la possibilità di risultati sorprendenti: in termini di partecipazione
e, di conseguenza, di numeri parlamentari. Tutti i sondaggi hanno detto
finora che non si intravede la possibilità di ottenere una maggioranza,
per un qualunque schieramento dei tre principali. E il numero degli
indecisi, che a diciassette giorni dal voto rappresentano quasi un terzo
dei votanti, è composto in prevalenza da elettori del centrosinistra.
In più, secondo l’Istituto Demopolis il 67 per cento degli italiani non
conosce i nomi dei candidati del suo collegio uninominale.
Sono
elementi che contribuiscono a far ritenere che dalle urne possano uscire
sorprese. Al di là della competizione tra centrosinistra, centrodestra e
Movimento 5 Stelle, e all’interno delle singole coalizioni, l’incognita
è di sistema. L’Europa scommette sulla possibilità che si formi un
governo, in una fase nella quale si ridisegneranno gli equilibri
continentali insieme con Germania e Francia. Il problema è quale ne sarà
il perno, e se ce ne sarà uno. Per come si vanno configurando le sfide
nei collegi, soprattutto per l’uninominale, è reale la prospettiva che
la partita venga ridotta in molte realtà a quella tra centrodestra e
M5S. E non perché lo dice il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi.
La
frattura a sinistra tra Pd e Liberi e uguali risulta, al momento, non
ricomponibile. E sembra verosimile che molti dei consensi in marcia
verso il partito di Pietro Grasso non siano in libera uscita ma siano
stati persi da tempo dai dem di Matteo Renzi. Questo non toglie che lo
scontro tra il maggior partito di sinistra e quanto è nato dopo la sua
scissione promette di tradursi in un’elezione nella quale entrambi si
faranno male. E beneficiari saranno centrodestra e M5S, soprattutto nei
collegi dove bocciature e promozioni si giocheranno sul filo di lana di
una manciata di voti: e sull’intero territorio nazionale. L’altra
incognita proviene dalla tenuta dei partiti minori in coalizione.
Se
non raggiungono l’uno per cento, i loro consensi andranno dispersi. Se
lo toccheranno senza salire fino al tre, rimpolperanno le liste della
forza maggiore. Se andranno oltre il tre, potranno avere una propria
rappresentanza. Si tratta di un punto interrogativo che lambisce il
centrodestra e sovrasta il Pd. Per il M5S, invece, il tema è la capacità
di produrre non solo voti, ma seggi. Il Movimento grillino è dato in
testa come percentuali di un singolo partito. La legge elettorale non
garantisce, tuttavia, che significhi avere più deputati e senatori degli
altri. D’altronde, la riforma è stata approvata da Pd, FI e Lega anche
con l’obiettivo di arginare i Cinque Stelle.
Rimane da capire
quanto il calcolo pagherà davvero; e misurare alla distanza l’eventuale
effetto del pasticcio dei rimborsi non restituiti da parte di un gruppo
di parlamentari del Movimento grillino. La storia recente consiglia di
non sopravvalutarlo, nonostante le falle evidenti nell’organizzazione
del Movimento e la mancanza di controlli. Eppure, la sensazione è che
non sia quello il tema in grado di staccare pezzi di elettorato di
opinione da una forza alimentata in buona parte, sebbene non
interamente, dalle contraddizioni e dagli errori dei partiti
tradizionali. Al di là della schiuma propagandistica, pesano la
competenza e la credibilità dei programmi. Chissà che anche su questo
non arrivi qualche sorpresa.