Corriere 25.1.18
Le due scimmie clonate in Cina
di Luigi Ripamonti
Si
chiamano Zhong Zhong e Hua Hua, e sono le prime due scimmie al mondo
clonate con la tecnica della pecora Dolly. La loro nascita è stata
annunciata sulla rivista Cell dall’Istituto di neuroscienze
dell’Accademia cinese delle scienze a Shanghai. Hanno, rispettivamente,
otto e sei settimane di vita. Non è la prima clonazione in assoluto di
un primate. La prima fu quella di Tetra, una femmina di macaco, ottenuta
negli Stati Uniti nel 1999 con la scissione dell’embrione, un
procedimento che imita il processo naturale all’origine di gemelli
identici.
Nel caso di Zhong Zhong e Hua Hua invece è stata usata
la tecnica Scnt (Somatic Cell Nuclear Trasfer) cioè il trasferimento del
nucleo prelevato da una cellula di un individuo in una cellula uovo non
fecondata di un altro soggetto, privata del suo nucleo.
Finora
ogni tentativo di questo tipo sulle scimmie era fallito perché i nuclei
delle loro cellule differenziate (cioè già maturate) contengono geni che
impediscono lo sviluppo dell’embrione. I ricercatori hanno trovato gli
«interruttori» molecolari giusti per avviare il processo e portarlo a
buon fine.
Si tratta di un risultato notevole sotto molti punti di
vista, perché apre la prospettiva di avere a disposizione per gli studi
animali di questo tipo geneticamente identici, cosa che oggi è
possibile con specie meno vicine all’uomo, come i topi. Ciò servirà a
escludere molte variabili su modelli precisi, rendendo disponibili
termini di paragone perfetti per capire quanto incide, per esempio, una
modificazione o un intervento terapeutico. In linea teorica il risultato
potrebbe poi avere applicazioni anche per la preservazione di specie in
via di estinzione.
«Ma l’aspetto più importante è probabilmente
un altro» sottolinea Carlo Alberto Redi, genetista dell’Università di
Pavia e accademico dei Lincei. «Ed è il fatto che i ricercatori cinesi
sono evidentemente riusciti a identificare i meccanismi che consentono
di “accendere” o “spegnere” determinati geni per fare in modo che una
cellula somatica del macaco possa essere messa in condizione di
“tornare” a uno stato tale da poter essere poi indirizzata a uno
sviluppo diverso».
«Per la comunità scientifica avere a
disposizione queste informazioni può essere molto utile» continua
l’esperto, «perché l’epigenetica, cioè tutto quanto interviene sul Dna
per influenzarne il comportamento, è qualcosa che riguarda tutti noi, e
condiziona lo sviluppo di molte malattie. Capire in che modo l’ambiente
interviene sul Dna e come lo modifica in modo tale da farci ammalare, è
uno dei filoni di ricerca di maggior interesse in tutto il mondo oggi».
«Per fare alcuni esempi: come fa il fumo a intervenire finemente sul Dna
delle cellule per farle diventare cancerose è un problema di
epigenetica» spiega Redi. «Così come lo è, ad esempio, l’azione degli
inquinanti ambientali, di ciò che mangiamo, eccetera».
«Unico
limite che mi sembra di ravvisare da quanto è stato comunicato finora è
che il risultato è stato ottenuto a partire da fibroblasti fetali,
quindi con una differenziazione probabilmente non ancora completa, ma
ciò non toglie che sia un risultato importante».