Corriere 25.1.18
La stupidità del male e le idiozie sulla razza
di Gian Antonio Stella
C’è
anche una stupidità del male. Leggende demenziali su ebrei con sei dita
o riconoscibili dall’orecchio sinistro. Frutto di un odio razzista
contro «gli altri» che ha accecato perfino pensatori e intellettuali di
spicco. Come il filosofo tradizionalista Julius Evola o il grande
compositore tedesco Richard Wagner. «L’ebreo manca di umorismo, ed è
anzi egli stesso, dopo la sessualità, l’oggetto preferito delle
barzellette», discettava nel 1903 in Sesso e carattere il filosofo Otto
Weininger. Ignaro di come avrebbero riso di lui i fratelli Marx, Woody
Allen, Walter Matthau, Tony Curtis e tanti altri geni dell’umorismo a
partire da Charlie Chaplin…
«Ero in quinta ginnasiale. Avevo come
compagna di banco una brava figliola. Questa ragazza un giorno ha detto
qualcosa che mi sembrava... Allora le ho detto: “Ma guarda che anch’io
sono ebrea”. E lei mi dice: “Non è vero”. “Se te lo dico io!”. “Non è
vero, perché gli ebrei hanno sei dita.” Adesso fa ridere, ma è così. La
mia amica Carla mi ha detto che una donna che conosceva, a Torino, era
terrorizzata durante la gravidanza perché temeva che il bambino nascesse
con sei dita».
Il racconto di Anna Colombo, piemontese, docente
di letteratura rumena, morta anni fa a Gerusalemme e autrice del libro
Gli ebrei hanno sei dita (Feltrinelli, 2005) , spiega più di mille
volumi quanto sottile sia il confine fra il ridicolo e l’orrore. Nulla
quanto il razzismo può accecare le intelligenze. Nulla.
Dicono
tutto poche righe scritte di suo pugno nel libro del 1941 Sintesi di
dottrina della razza da Julius Evola, che il Giorgio Almirante definiva
«il nostro Marcuse» ed è ancora oggi uno dei punti di riferimento della
destra: «Una donna, i cui rapporti sessuali con un uomo di colore sono
cessati da anni, può dare alla luce un figlio di colore nella sua unione
con un uomo, come lei, di razza bianca: qui una idea confittasi in
condizioni speciali nella subcoscienza della madre in forma di un
“complesso”, anche dopo anni ha agito formativamente sulla nascita».
Gravidanze lunghe anni e anni…
C’è di tutto, nello stupidario del
razzismo. C’è la tesi omofoba di San Bernardino: «Il corpo del sodomitto
non è altro che puza» (di zolfo). E l’africano del popolo khoisan che
Cesare Lombroso chiama «ottentotto» spiegando che «si può dire
l’ornitorinco dell’umanità». E il meticcio che il giurista Médéric Louis
Élie Moreau de Saint-Méry cataloga a seconda delle sue 128 gradazioni
di sangue bianco o nero. Non manca neppure il marchio dell’«odore più
fetido» assegnato nel 1915 dalla Société de Médecine di Parigi ai
tedeschi («odore acre e tenace di cavolo e di sudore», precisò lo
scienziato Edgar Bérillon) davanti all’«odore acido» degli inglesi,
«rancido» dei neri e «malato» degli orientali.
Le vittime
predilette dei pregiudizi più stupidi, però, sono stati gli ebrei.
«L’ebreo manca di umorismo, ed è anzi egli stesso, dopo la sessualità,
l’oggetto preferito delle barzellette», discetta nel 1903 in Sesso e
carattere il filosofo Otto Weininger, ignaro di come avrebbero riso di
lui Chico, Groucho, Harpo, Gummo e Zeppo Marx, Woody Allen, Walter
Matthau, Tony Curtis e tanti altri geni dell’umorismo a partire da
Charlie Chaplin, additato come ebreo nel libretto nazista Juden sehen
dich an («Gli ebrei ti guardano»).
Lascia basiti rileggere
L’ebraismo nella musica del grande compositore tedesco Richard Wagner:
«È naturale che la congenita aridità dell’indole ebraica che ci è tanto
antipatica trovi la sua massima espressione nel canto, che è la più
vivace, la più autentica manifestazione del sentimento individuale».
Certo, spiega Paolo Isotta, il compositore ben sapeva quanto grandi
fossero Moses Mendelssohn o Jakob «Giacomo» Meyerbeer, tedeschi come
lui, ma ebrei. Sapeva di scrivere una assurdità. Ma convinto com’era di
una congiura giudaica nei suoi confronti, come poteva rinunciare a
spargere veleni? E parliamo di musica classica. Perché l’idea che il
canto sia «negato agli ebrei dalla natura stessa» cozzerebbe oggi con le
storie di musicisti come Bob Dylan, Barbra Streisand, Leonard Cohen,
Paul Simon e Art Garfunkel, Lou Reed, Woody Guthrie, Carole King, Neil
Diamond…
Quanto agli attori, lo stesso Wagner non aveva meno
pregiudizi. Lo scrisse sempre in L’ebraismo nella musica : «Ci è
impossibile immaginare che un personaggio dell’antichità o dei tempi
moderni, eroe o amoroso, sia rappresentato da un ebreo senza sentirci
involontariamente colpiti da quanto vi è di sconveniente, anzi, di
ridicolo in una rappresentazione del genere». Aggiunse: «La cosa che più
ci ripugna è il particolare accento che caratterizza il parlare degli
ebrei». E ancora: «Ascoltando l’ebreo che parla, noi siamo nostro
malgrado urtati dal fatto di trovare il suo discorso privo di ogni
espressione veramente umana». Certo, non aveva avuto modo di veder
recitare Sarah Bernhardt e Lauren Bacall, Dustin Hoffman e Paul Newman,
Kirk Douglas e Cary Grant, Shelley Winters e Scarlett Johansson e tanti
altri... Ma come poteva, un genio qual era lui, uscirsene con
scempiaggini così?
Sarebbe impossibile chiudere questa carrellata,
però, senza ricordare la testimonianza di Inge Deutschkron, che dopo
essere scampata ai lager nazisti sarebbe diventata una scrittrice e una
testimone dell’Olocausto. E che un giorno di settembre del 1938 andò a
farsi la carta d’identità. «Come ogni ragazzina di sedici anni, ero
anch’io vanitosa. Quando il fotografo mi fece cenno di aggiustarmi i
capelli dietro l’orecchio sinistro, mi sentii completamente turbata
sull’orlo delle lacrime». Sapeva che, come ebrea, le avrebbero stampato
una grande «J» (l’iniziale di Jude , «ebreo») gialla sulla copertina e
una sulla prima facciata interna del documento «sicché non era possibile
alcun dubbio sull’origine razziale del titolare». Ma fu quella
raccomandazione sui capelli a ferirla di più.
«L’avvertenza del
fotografo era di carattere tecnico, non esprimeva scherno, era un cenno
professionale, nulla più. Tuttavia la sentii come un’umiliazione, quasi
fosse un colpo di frusta». Dalla forma dell’orecchio sinistro infatti
«sarebbe stata individuata l’appartenenza razziale. Era questa una
scoperta degli scienziati della razza nazionalsocialisti. L’orecchio
sinistro di un ebreo tradiva secondo loro l’origine semitica. Per questa
ragione le fotografie dei passaporti degli ebrei dovevano essere prese
in modo da rendere chiaramente visibile la forma dell’orecchio
sinistro».
La ragazzina uscì dal negozio scossa: «In quei giorni
cercai spesso a Berlino di constatare cosa distinguesse l’orecchio
sinistro dei miei concittadini dal mio, quando passavo loro vicino
nell’autobus o nella sotterranea. Ma non riuscii a scoprire nulla. Il
mio orecchio, sottoposto centinaia di volte a esame allo specchio, era
proprio uguale a quello degli ariani di Berlino».
Per anni,
facendo conferenze in giro per il mondo, Inge Deutschkron ha raccontato
quel momento della sua vita tra i sorrisi increduli di lettori,
professori, studenti… Sì, pare impossibile. Oggi. Ma è successo. E
chissà se chi avviò con burocratica solerzia alle camere a gas uomini,
donne e bambini diede un’occhiata al loro orecchio sinistro...