Corriere 23.1.18
Freud
Il dottore lotta con noi
Debutta stasera la nuova produzione del Piccolo Teatro di Milano
Il regista spiega la chiave per rappresentare antichi e nuovi dolori, successi e fallimenti
Tiezzi porta in scena l’inconscio i suoi sogni e quelli dei pazienti
di Maurizio Porro
La
vita è fatta della materia di cui son fatti i sogni, diceva Shakespeare
senza smentite. Ma i sogni sono fatti della materia di cui è fatto il
teatro, soprattutto quelli offerti dall’inconscio di Freud. Così il
cerchio si chiude. Federico Tiezzi è il regista di «Freud o
l’interpretazione dei sogni» di Stefano Massini, grande produzione del
Piccolo Teatro, gioco di illusioni al quadrato che passa attraverso
antichi e nuovi dolori, successi e fallimenti. «Quest’estate mi sono
recato alla casa-museo Freud al 19 della Bergasse a Vienna, piena di
pezzi d’arte africana. Suonando il campanello un giorno, solo, ho
sentito a caldo il dolore e la ferita di chi andava a consultare il
professore, passava il cortile col grande albero, saliva la scala al
primo piano e si trovava davanti la targa “Dottor Sigmund Freud”. Ma la
nostra non è la biografia di un dr. Freud riappacificato e realizzato,
ma di uno che pensa e lotta: i rapporti con i pazienti sono come su un
ring».
Tiezzi pensa a uno spettacolo molto cinematografico («credo
sia il mio primo film»), con tanti setting e del resto, mentre i
Lumière esordivano il 28 dicembre 1895, Freud analizzava il primo sogno.
Ma
l’arte del cinema, a lungo disprezzata dal professore che rifiutò lauti
guadagni, è coeva a quella dell’interpretazione dei sogni. Già nel 1933
un magnifico incubo cartoon, «Topolino e il dottore matto», contiene
Hitchcock, Fellini, Lynch e Buñuel. «A questi registi e ad altri ho
molto pensato. Il nostro lavoro — dice Tiezzi — è come si svolgesse
nella testa di Freud: Massini usa i sogni citati dei pazienti nei libri,
ma anche quelli del professore, assai turbato dai rapporti col padre,
di cui metto in scena il funerale. Quando lessi Freud da liceale imparai
che esiste sempre una scrittura manifesta e una latente, una tesi
confermata da Pirandello. La verità è che Freud, amico di Schnitzler e
del filosofo Ludwig Biswanger, smascherò i desideri e gli impulsi
inconfessabili, mentre Vienna viveva il suo grande Rinascimento».
Si
apre il vaso di Pandora. Quando apparve «L’interpretazione dei sogni»,
il 4 novembre 1899, ecco, in quel momento si spense l’eco dell’ultimo
valzer ed iniziava il dolore straziante lancinante del Novecento che
doveva per forza trovare rifugio in metafora onirica. «Stop Strauss:
Schoenberg compone a soli 25 anni la “Notte trasfigurata” di cui
sentiremo alcune note in sala. La Vienna della Belle époque getta la
maschera, così si capirà che molti dolori sono allevati in famiglia,
perché non sempre l’uomo riesce a stare al passo con le richieste della
società». Il prof. Freud rivoluzionario o reazionario? Rimandiamo il
tema alla prossima puntata, ma vediamo il poster culturale che ha in
testa il regista per uno spettacolo che, forse, sarà esso stesso un
sogno vagante, acchiappato in platea come nel Nolan di «Inception».
Allora, calendario alla mano: nel 1899 Schnitzler e Klimt hanno 37 anni,
Richard Strauss 35, Von Hofmannsthal e Kraus 25, Musil 19; aggiungerei,
altre latitudini, che Poe era morto da 50 anni, Joyce aveva 17 anni e
Proust, amatissimo dalla «setta» Tiezzi-Lombardi, ne aveva 28 e solo nel
’13 apparirà la «Recherche», anche quello un immenso sogno.
«Lo
spettacolo sarà la scoperta del linguaggio che ha rivoluzionato la vita e
l’arte fornendo la chiave dell’interpretazione del mondo; ma anche un
romanzo di formazione e la conferma che cinema e teatro vivono di una
drammaturgia onirica, tanto che Freud studiò Ibsen e “Rosmersholm”. I
sogni sono di Sigmund, citati da Freud, ma anche di Stefano Massini,
egittologo consapevole che l’onirocritica è antica quando il mondo: i
sogni sono nostri, è un patrimonio comune». Tra questi, quelli doc, del
prof., riguardano la moglie Martha e il padre, suoi nervi scoperti. In
uno poi c’è un uomo che si trova al gelo con alcune lucertole (i suoi
pazienti?) e le sfama coi frutti di un albero di cui conosce chissà come
il nome latino... ma a tutto c’è spiegazione. Lo sapeva Hitchcock che,
nella «Donna che visse due volte», conta sul tronco gli anni della
vecchia quercia. Lo sapeva Huston, che incaricò Sartre di scrivere la
sceneggiatura del film sul professore: lo scrittore visse in empatia con
Freud, si battè a lungo contro se stesso, però alla fine non se ne fece
nulla, ma «I sequestrati di Altona» saranno poi il vero risultato
freudiano.
«Così gli attori-pazienti, in analisi allo Strehler
fino all’11 marzo anche nei week end, lottano con Freud, si riflettono
in lui in una polifonia di allucinazioni, voci, tormenti, estasi di
uomini senza qualità e senza maschera. Il teatro è sollievo, cura e non
guarigione». Tutti in costume storico, ma attaccati all’àncora della
contemporaneità: Fabrizio Gifuni, seduto sul titolo, è Freud, lui che sa
accendere campi magnetici in platea, ma c’è un cast formidabile, 14
attori con Elena Ghiaurov, Marco Foschi, la Toffolatti, Maccagno,
Ceriani e Giovanni Franzoni che, reduce dall’en plein nevrotico di Oscar
Wilde, vive un atroce complesso di colpa per la morte dei fratelli.
Ma
chi sarà il Freud di Tiezzi, di cui è uscito un volume Ubu con tutti i
pezzi di Franco Quadri, che ha cominciato con lo spettacolo «Crollo
nervoso» e voleva laurearsi con tesi su Bosch? «Sarà uno di noi che
interpreta, riflette, pensa, trascrive sul taccuino, fa sdraiare sul
lettino; ma anche un cercatore, un pellegrino sempre in dubbio sugli
esiti della ricerca che boxa con i suoi pazienti».