giovedì 18 gennaio 2018

Corriere 18.1.18
Ormai la bassa partecipazione è diventata una patologia
di Massimo Franco


L’ombra dell’astensionismo grava sul voto del 4 marzo come un presagio di ulteriore instabilità. Più la campagna elettorale si incanaglisce, più cresce il timore che una parte dei votanti possa decidere, delusa, di non andare alle urne. Il problema, ormai, non è la percentuale che prenderanno i singoli partiti. Semmai, è quanto l’astensione potrà modificare e distorcere i risultati. I casi recenti della Sicilia e di Ostia sono stati ulteriori avvisaglie dell’incapacità delle forze politiche di attrarre gli elettori. Da questo punto di vista, nemmeno il Movimento 5 Stelle si è mostrato capace di invertire questa dinamica. E le incognite si accumulano.
Le tesi che circolavano fino a qualche anno fa, secondo le quali un abbassamento del numero dei votanti era l’adattamento fisiologico alla partecipazione nelle democrazie anglosassoni, si sono rivelate fuorvianti. La rapidità e le proporzioni del crollo hanno assunto contorni patologici. E costringono a osservare la realtà con maggiore consapevolezza. L’unico dato incoraggiante, in termini di partecipazione, è quello al referendum costituzionale del 4 dicembre del 2016. Non sorprende, dunque, che il capo dello Stato, Sergio Mattarella, additi il pericolo di un «impoverimento della democrazia».
Ma nell’appello a esercitare il diritto di voto si avverte anche il timore che l’astensionismo rifletta qualcosa di più profondo della delusione verso i partiti. Diventa il simbolo di una società slabbrata e conflittuale. E può aprire la strada a quanti alimentano questo malessere per costruire il proprio successo. Limitare il fenomeno al Movimento 5 Stelle sarebbe riduttivo. La deriva viene da molto più lontano. Ma quanto l’irruzione di Beppe Grillo e della Rete abbia cambiato le coordinate si coglie nel modo in cui Silvio Berlusconi si erge a difensore dell’Europa contro di loro. Eppure è il premier e capo del centrodestra che nel 2011 fu affondato dai contrasti con Bruxelles.
Berlusconi sembra dar ragione al commissario Pierre Moscovici che ha evocato un’Italia a rischio instabilità, con un attaco controverso a Lega e M5S. «È naturale che l’Ue guardi con preoccupazione a ciò che succederà in Italia», dice Berlusconi. «Se cadesse in mano a una forza populista come il M5S, rischieremmo di restare isolati». Il leader di FI glissa pudicamente sui giudizi di Moscovici contro la xenofobia dei leghisti, suoi alleati. Si capisce che vuole sottolineare la pericolosità dei Cinque Stelle e del non voto. «Sono disgustato anche io da quanto è successo. Ma il rimedio non è votare M5S».
Per Berlusconi, un astensionismo alto porterebbe di rimbalzo a un aumento delle percentuali grilline; e renderebbe difficile un governo ben accolto in Europa. Lo schema berlusconiano segnala peraltro una novità. Finora, i seguaci di Grillo erano considerati un argine, se non un antidoto all’astensionismo. Si sono vantati di avere incanalato una protesta che altrimenti poteva diventare eversione. Ora, invece, il non voto di centrodestra e centrosinistra è visto da Berlusconi come propellente del grillismo. Visione oggettivamente amara, perché ha il sapore di un’involontaria autocritica.