La Stampa1.12.17
Boldrini e Grasso scendono in campo
Solo Bertinotti e Fini hanno fatto come loro
Il presidente del Senato domenica battezza la “Cosa rossa”
di Fabio Martini
Ha
meditato a lungo, ma alla fine Pietro Grasso ha spento gli ultimi
dubbi: domenica il presidente del Senato farà il suo primo discorso da
leader politico sotto il tendone del Pala Atlantico di Roma, davanti ai
duemila delegati della “Cosa rossa” e al cospetto dei loro leader,
Massimo D’Alema, Pier Luigi Bersani, Nicola Fratoianni. Nelle ultime
settimane il presidente del Senato (che sino alla primavera 2018 resterà
la seconda carica dello Stato), si era già preso libertà di parola,
arrivando a scandire espressioni corrosive: «Il Pd? Forse non c’è
più...». E un analogo intervento “contro” era stato pronunciato dalla
presidente della Camera Laura Boldrini ad una assemblea di Campo
progressista: «Credo che non ci siano più le condizioni per un’alleanza
col Pd!».
Un interventismo che conferma l’intrerpretazione che i
due attuali presidenti delle Camere hanno dato alla propria terzietà:
vale soltanto dentro le aule parlamentari. La Costituzione non vieta
espressamente ai due presidenti di svolgere un’attività politica, il che
ha sempre lasciato ai protagonisti la possibilità di percorrere diverse
strade. Per la verità, per decenni, i presidenti di Camera e Senato
hanno fatto una sola scelta: quella di astenersi dall’attività politica.
Scelta condivisa da democristiani, socialisti, liberali, ma anche da
tutti i presidenti comunisti e post-comunisti: Nilde Iotti, Pietro
Ingrao, Giorgio Napolitano, Luciano Violante. «Presidenze ineccepibili -
sostiene il professor Paolo Armaroli, costituzionalista autore di studi
sulla storia parlamentare - che traevano origine dalla decisione di
Francesco Crispi, nel 1876, di farsi togliere dalla chiama e dunque di
non votare mai in aula. Ma l’imperativo categorico di essere super
partes anche fuori dell’aula ha indotto diversi presidenti a dimettersi.
Saragat si dimise da presidente della Costituente dopo aver fondato il
partito socialdemocratico. Merzagora dopo aver blandamente criticato i
partiti ed esserne blandamente ricambiato. Pertini si dimise soltanto
perché c’era stata la scissione Psi-Psdi. Fanfani lasciò la presidenza
del Senato prima di tornare segretario della Dc. Sicuramente nessun
presidente di assemblea, come hanno fatto Grasso e Boldrini, ha mai
auspicato l’approvazione di una legge giacente nella propria aula o
nell’altra».
Questi precedenti non hanno impedito a Gianfranco
Fini e Fausto Bertinotti di interpretare il proprio ruolo in modo
diverso, partecipando alla contesa politica. A quei precedenti si
richiamano Grasso e Boldrini, facendo leva anche sul fatto che la
legislatura è agli sgoccioli, in questo confortati dal parere di un ex
come Luciano Violante: «La scelta attiva di campo a fine legislatura è
nel novero delle cose possibili». Come dar ragione a quei giocatori di
calcio che non vogliono l’ammonizione per un fallo grave, «perché siamo
al primo minuto?». Alla fine entrambi i presidenti hanno preso la stessa
decisione e cioè che un ragionevole punto di caduta sia quello di
prendersi totale libertà di parola dopo l’approvazione in prima lettura
della legge di Stabilità nella propria assemblea. Nel caso di Grasso, il
“tana libera tutti” è scattato ieri sera, quando la Finanziaria è stata
approvata. Questo significa che i due Presidenti scenderanno
nell’arengo politico prima della conclusione formale ma anche
sostanziale della legislatura. Perché l’assemblea di palazzo Madama è
chiamata a passaggi non banali: l’approvazione del nuovo Regolamento, di
alcune leggi come quelle sulla prevenzione dello jihadismo, sugli
orfani di femminicidi, il biotestamento, i vitalizi e teoricamente anche
lo ius soli. E il voto di fiducia sulla Finanziaria.