Repubblica 6.11.17
Il genitore
“Più sport e meno tv non serviva lo psichiatra”
di Zita Dazzi
MILANO.
«Mio figlio a scuola? Quattro anni di odissea». Così ne parla Marco
Rizzi, 44 anni, impiegato, moglie cassiera al supermercato, due figli,
uno di dieci, l’altro di due anni. Una famiglia come tante, in un
piccolo paese in provincia di Piacenza. «Tutto è cominciato quando c’è
stato il passaggio dall’asilo alle elementari. Alla fine dell’anno le
maestre ci dissero che il bambino aveva delle difficoltà di attenzione,
non riusciva a stare fermo, a concentrarsi, a spiegarsi. Mi
consigliarono di farlo vedere da un logopedista, e noi andammo subito
all’Usl, che lo prese in carico nell’area della neuropsichiatria
infantile».
Come vi siete sentiti da quel momento?
«Ovviamente
l’abbiamo presa molto male. La dottoressa non ci dava risposte
convincenti, ci faceva sentire colpevoli di qualcosa. Poi è arrivata la
diagnosi che parlava di disturbi dell’attenzione, con una richiesta di
accompagnamento scolastico».
Un insegnante di sostegno?
«Eravamo
perplessi, la pediatra ci consigliato di chiedere un parere diverso. Ci
era chiaro che il bambino aveva problemi a scuola, ma non ci sembrava
così grave».
Nella vostra famiglia com’era l’atmosfera?
«Andavamo
da una psicologa privata, che ha cominciato a lavorare su noi come
genitori. Intanto le visite previste dalla Usl non davano grandi
risultati. Fra me e mia moglie si è creata una grande tensione. Il
bambino era sotto pressione, invece che migliorare, peggiorava».
Come ne siete usciti?
«Parlando
con amici, qualcuno ci ha consigliato di parlare col dottor Novara. E
da lui abbiamo avuto esiti completamente diversi. Abbiamo sospeso con la
Usl e cominciato con un osteopata, che ha riscontrato un problema
psicomotorio. Molte sue difficoltà nascevano da una postura sbagliata,
che lo limitava anche nel parlare».
Che altro avete fatto?
«Lo
abbiamo mandato a fare sport, ha trovato una nuova dimensione. Anche in
classe la situazione è molto migliorata. C’è stato uno scontro forte
con la scuola che continuava a pensare di dare al nostro bambino una
maestra “di sostegno”. Mentre noi eravamo ormai certi che lui aveva
bisogno solo di recuperare autostima e sicurezza».
Quanto è contato il clima famigliare sul modo di stare a scuola di vostro figlio?
«Abbiamo
dovuto fare un lavoro di coppia, avevamo le nostre responsabilità. Io
lo aiutavo nei compiti in modo non sereno, questo gli faceva perdere
sicurezza. Adesso è stato molto invogliato a stare sulle sue gambe.
Abbiamo capito che il “sostegno” lo faceva “sedere”, non prendeva
iniziative ».
Siete fuori dal tunnel ora?
«Siamo riusciti
piano piano ad aiutarlo anche limitando molto il tempo che passava
davanti a televisione, videogiochi, play station. È stato faticoso, ma è
servito. I risultati si vedono, arrivano voti alti. Senza insegnante di
sostegno e senza visite psichiatriche ».