lunedì 27 novembre 2017

Repubblica 27.11.17
Intervista
Noemi Di Segni
“Sì ai due Stati ma i palestinesi riconoscano a Israele il diritto ad esistere”
di Gabriele Isman

ROMA «Da tempo noi sosteniamo l’idea che in quella regione sia giusto avere due Stati autonomi che vivano in sicurezza » . Noemi Di Segni è la presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane.
« Il tema, però, è che per arrivare a questa soluzione occorre prima un riconoscimento del diritto a esistere di Israele da parte palestinese » dice dopo aver letto l’intervista di Repubblica ad Abu Mazen, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, che si augura che « l’Italia riconosca lo Stato palestinese secondo le raccomandazioni espresse dal Parlamento tre anni fa » .
Presidente Di Segni, questo per lei è possibile?
«Sì, ma vi sono delle precondizioni come il riconoscimento di Israele da parte palestinese a voce alta: nelle loro cartine geografiche Israele neppure c’è, ma invece le due realtà devono trattare senza intrusioni di altri Paesi e arrivare a riconoscersi nel nome della pace globale. L’Italia non può arrivare a un risultato prima che vi siano altri passaggi. Per il nostro Paese, ma anche per Israele, nel rapportarsi a quel tema c’è anche un altro problema: sappiamo che nel mondo palestinese vi sono divisioni interne, e quindi sarebbe utile sapere con quale parte si dialoga, sperando di parlare con chi si riconosce nei valori di convivenza e pace. In questi giorni in Italia ne abbiamo una dimostrazione diretta».
A cosa si riferisce?
«In questi giorni è stata invitata a parlare nel nostro Paese Leila Khaled (membro del Fronte Popolare per la liberazione della Palestina e prima donna, nel 1969, a partecipare a un dirottamento aereo, ndr). Io vorrei sapere cosa dice questa signora nei suoi interventi pubblici nel nostro Paese, mentre so per certo che da un oratore israeliano è difficile che escano parole d’odio viscerale e di proselitismo che in tempi come questi possono anche fomentare le tante teste calde che si sfogano nel web. Ecco, anche questo può essere un esempio di stile diverso e di maturità nel presentare la questione israelo-palestinese e la volontà di trattare per arrivare a una piena e sicura convivenza».
La posizione sua e dell’Ucei per la formula “Due popoli due stati” è chiara. Ma pensa che sia davvero l’unica posizione degli ebrei italiani?
«No, sappiamo bene che ci sono nostri correligionari italiani che di Palestina non vogliono nemmeno sentir parlare come vi sono i favorevoli a qualsiasi accordo. Ma tutti gli ebrei aspirano alla pace e chiedono agli altri Paesi di restare vigili, di aprire gli occhi sul tema del Medio Oriente. Quindi dobbiamo essere pragmatici. Quanto avviene in Medio Oriente si riverbera necessariamente in Europa. La discussione quindi non è più dire sì o no alla Palestina, ma saper incorniciare il conflitto israelo-palestinese in un quadro più ampio. La preoccupazione e il vero disagio sono per la miopia dell’interlocutore europeo nel dimenticare che quanto accade in quel quadrante oggi più che mai può espandersi in scala più ampia anche nel nostro Continente. E anche le organizzazioni internazionali come l’Onu non devono lasciarsi strumentalizzare: l’Italia, nel riconoscimento palestinese da parte dell’Unesco, con le sue critiche ha assunto una posizione coraggiosa».