Repubblica 18.11.17
Il filosofo Maurizio Ferraris
Se umanesimo, calcoli e web vanno a braccetto
di Maurizio Ferraris
Non è più il tempo del puro specialismo, non ci sono più territori separati: assistiamo così a una rivoluzione
Ci
sono molte ragioni per ricordare Galilei (anzi, Galileo: singolarmente,
viene spesso chiamato per nome, come se chiamassimo Newton “Isacco”), e
che non riguardano soltanto le sue scoperte. La prima è ovviamente la
vicenda biografica dell’abiura, e la sua ricaduta letteraria, il Galileo
(appunto, se almeno ci atteniamo alle traduzioni italiane) di Brecht.
La seconda è il fatto che, insieme al suo allievo Torricelli, è citato
da Kant nella Critica della ragion pura come campione della scienza
moderna. La terza è che viene citato non solo nella storia della
scienza, ma nella letteratura italiana, e a due titoli: come eroe di
Foscolo, di Leopardi, di Nievo, di Ungaretti e di Calvino, e come autore
accolto nei classici della nostra lingua. Senza dimenticare che nella
seconda metà del Novecento, molto tempo dopo che gli esperimenti di
Galilei sul moto del pendolo erano stati consegnati alla storia della
scienza, trovarono una nuova vita in sede di fenomenologia della
percezione per opera di un grande psicologo come Paolo Bozzi. Queste
molte ragioni (e non sono nemmeno tutte: c’è anche il Galilei musico, il
Galilei tecnologo, il Galilei critico d’arte) sembrano disegnare il
ritratto di un “ uomo leonardesco”, ossia, in parole povere, di un pezzo
da museo. Una volta, ai tempi di Galilei, si faceva scienza come lui.
Ora, per fortuna, non più: essere scienziati significa essere
specialisti, e nello specialismo rientra soprattutto l’antitesi tra
scienza e umanesimo. Al punto che quando un chimico come Primo Levi o un
ingegnere come Carlo Emilio Gadda si mettono a scrivere romanzi si ha
la sensazione di avere a che fare con delle bizzarrie, quasi con delle
deviazioni rispetto all’ordine naturale delle cose. Ma siamo sicuri che
sia così? In effetti, non solo la scienza non è più quella del puro
specialismo, ma nemmeno le discipline umanistiche sono più quelle di una
volta: nobili cose vetuste. E, soprattutto, la scienza e l’umanesimo
non sono più due territori separati, visto che condividono lo stesso
spazio, il web e le tecnologie a esso correlate. Assistiamo così a una
rivoluzione per cui “l’uomo leonardesco” e lo scienziato galileiano non
sono più semplicemente cose del passato. La scienza deve rendersi
comprensibile, perché la società è sempre meno disposta a deleghe in
bianco agli esperti: dunque deve saper comunicare, persuadere, discutere
fuori dallo specialismo, ossia avvicinarsi a quell’unione tra scienza e
umanesimo che vigeva ai tempi di Galilei. D’altra parte, l’umanesimo –
nel momento in cui la più grande produzione industriale dell’Occidente è
il documento: libri, scritti, messaggi, immagini – non è più
semplicemente l’Arcadia, ma è un elemento cruciale per la tecnologia e
l’economia.
Insomma, molta acqua è passata sotto i ponti non solo
da quando Galilei misurava la frequenza del moto pendolare con le
frequenze del suo polso, ma anche da quando essere scienziato
significava sapere tutto su pochissimo. Il risultato di queste
trasformazioni, in larga parte silenziose, e di cui non abbiamo ancora
preso le misure, è enorme. Basti pensare che mentre trent’anni fa una
mostra su Galileo ci avrebbe mostrato il passato della scienza, quella
di oggi ce ne indica piuttosto il futuro.
* Docente di Filosofia Teoretica all’università di Torino