La Stampa TuttoScienze 29.11.17
Arrivano le protesi neurali:
“Potenzieremo la mente e parleremo con il pensiero”
Le ricerche fantascientifiche tra cellule e bytes
di Fabio Sindici
«Lo
stato della tecnologia delle interfaccia tra un cervello umano e uno
elettronico equivale a due supercomputer che cerchino di dialogare tra
loro usando un vecchio modem a 300 baud». L’autore della metafora è
Philip Alvelda, ex scienziato della Nasa, ora della Darpa, l’agenzia del
Pentagono per i progetti avanzati di difesa.
Alvelda sa qualcosa
delle «Bci», le «Brain Computer Interface», i canali sempre più
sofisticati - ma ancora non abbastanza - per collegare neuroni e
transistor, sinapsi e algoritmi: è il program manager del «Nesd», il
«Neural Engineering System Design», uno dei filoni di ricerca più
ambiziosi della Darpa sulla strada della simbiosi tra uomo e macchine.
L’obiettivo è creare dispositivi in grado di ricevere segnali distinti e
precisi da un milione di neuroni. Le interfaccia oggi in uso, invece,
riescono ad aprire fino a 100 canali, in ciascuno dei quali si aggregano
e si confondono gli impulsi di migliaia di neuroni. Il risultato è
simile a una chiacchierata tra radioamatori d’antan in una tempesta.
Le
applicazioni potenziali e futuribili di questa tecnologia sono
molteplici, dal recupero delle funzioni di vista e udito al
potenziamento della memoria e delle facoltà di apprendimento. Ma il
«Nesd» è solo uno dei programmi finanziati dalla Darpa, che ha a
disposizione un budget di 3 miliardi di dollari. Tra i più
fantascientifici, c’è l’«ElectRX», destinato a progettare un
micro-impianto nel sistema nervoso periferico, anziché nel cervello. Le
dimensioni dovrebbero essere quelle di una fibra nervosa e l’impianto
registrerebbe il funzionamento degli organi vitali, trasmettendoli a un
server. Non solo. La funzione sarebbe quella di un peacemaker
intelligente che, agendo sulla neuromodulazione, aiuterebbe il corpo
umano a curarsi da solo. È il sogno della medicina olistica, che si è
incarnato per ora solo in personaggi dei fumetti e del grande schermo,
come «Wolverine» (che è, guarda caso, frutto di un esperimento
militare).
Se la Darpa è in prima linea nel finanziare i test
sulle connessioni macchine-cervelli, a creare il termine «Bci» è stato,
negli Anni 70, Jacques Vidal della University of California at Los
Angeles: all’inizio gli accademici californiani sviluppano neuroprotesi
in cui il sistema nervoso viene collegato a un dispositivo elettronico,
ma il salto avviene a partire dal 2000, con la connessione con i
computer. Matt Nagle, tetraplegico, è stata la prima persona, nel 2005, a
controllare una mano artificiale grazie a una «Bci».
Oggi la
corsa al supercervello vede la ricerca militare (non solo negli Usa, ma
anche in Cina e Russia) in competizione con Silicon Valley. Il traguardo
non è solo il recupero di aree danneggiate del cervello, ma il suo
potenziamento. Elon Musk, l’imprenditore di SpaceX e Tesla, ha lanciato
Neuralink, start-up mirata a produrre un enigmatico «laccio neurale»,
primo passo verso la progressiva fusione tra intelligenza umana e
digitale. Intanto Mark Zuckerberg promette che gli utenti di Facebook
comunicheranno con il pensiero, ma sempre attraverso i server di FB,
ovviamente. La divisione sperimentale di Menlo Park lavora a un sistema
di «optical neuro-imaging» che permetterebbe a un individuo di digitare
100 parole al minuto, direttamente dalla propria testa a un pc.
Un
passo avanti agli altri, almeno in apparenza, è stato compiuto da Bryan
Johnson, che ha venduto la sua Braintree al colosso Paypal e ha
reinvestito 100 milioni di dollari nella Kernel, con l’obiettivo di
sviluppare algoritmi e dispositivi in grado di tradurre pensieri in
bytes e bytes in memoria. Un primo test è avvenuto su una paziente
affetta da epilessia. Poi Johnson e Theodore Berger - il creatore
dell’algoritmo - hanno preso strade divergenti e così, oggi, il
consulente principe della Kernel è Ed Boyden, direttore del Synthetic
Neurobiology Group al Mit di Boston.
Proprio al Mit si lavora a
micro-computer organici nelle cellule e Johnson, secondo alcune
indiscrezioni, studia un prototipo di neuromodulatore in grado non solo
di stimolare i neuroni, ma di leggerne i segnali e di tradurli. «La
neuromodulazione è una delle prospettive più intriganti - dice Silvestro
Micera, neuroscienziato che guida il team d’ingegneria neurale
dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa -.
Ci sono sistemi di neuromodulazione esterni, usati su pazienti
depressi. Quanto agli impianti, siamo alla vigilia di una rivoluzione
neuro-bio-digitale. In teoria un giorno caricheremo nella mente
programmi per giocare a golf o fare il kung fu, come fossero un’app.
Come in Matrix, per intenderci». E intato l’utopia del pianeta connesso
in una Internet neurale si scontra con la distopia di un’umanità
trasformata in superorganismo. Simile a un formicaio.