La Stampa 1.11.17
L’innovazione per battere la fame in Africa
Il numero delle persone che nel mondo soffrono la fame quest’anno è aumentato, da 777 a 815 milioni
di Melinda Gates
Da
oltre un anno le migrazioni e la crisi dei rifugiati - e il loro
impatto sulla società italiana - sono tra i temi più sentiti nel Paese.
Ma è importante ricordare la sofferenza dei nuovi arrivati, la loro
crisi. Che non è iniziata con lo sbarco in Sicilia, ma da qualche parte
in Africa, quando la vita per loro è diventata talmente insopportabile
da non lasciare altra scelta che la fuga.
Una delle cause da cui
nasce questa crisi è la carestia. Il numero delle persone che nel mondo
soffrono la fame quest’anno è aumentato, da 777 a 815 milioni. La
risposta a questa tragedia dipende molto anche dall’Italia, che è uno
dei Paesi guida a livello globale in tema di agricoltura e sicurezza
alimentare fin dal 1951 quando fu scelta per ospitare il quartier
generale del Wfp, il Programma alimentare mondiale dell’Onu. Un impegno
che l’Italia ha continuato a onorare l’anno scorso, con la presidenza
del G7.
Quando pensiamo alla fame ci vengono in mente i bambini
con i ventri gonfi che abbiamo visto nelle foto dall’ Etiopia negli Anni
80. Tuttavia un numero molto maggiore di persone soffre di quella che
viene talvolta definita «fame nascosta», ovvero anche se non si può dire
che muoiano letteralmente di fame, non hanno abbastanza da mangiare per
nutrirsi in modo adeguato. Ecco perché è così importante la priorità
data a questo tema dall’Italia che la prossima settimana ospiterà a
Milano un evento fondamentale come il Global Nutrition Summit.
A
livello mondiale un bambino su quattro è rachitico, cioè molto meno
sviluppato di quanto dovrebbe essere. Il rachitismo è uno dei più chiari
indicatori della malnutrizione cronica. Che, come sappiamo non blocca
soltanto lo sviluppo fisico ma anche quello emotivo e cognitivo. Con un
impatto devastante: un bambino rachitico non potrà mai raggiungere il
suo pieno potenziale, e un Paese dove ai cittadini non viene data quest’
opportunità -dove troppe persone non hanno alcuna possibilità di
condurre una vita dignitosa - è escluso a priori dal raggiungimento del
benessere.
Occuparsi anche della malnutrizione e non solo della
fame conclamata implica un approccio diverso allo studio delle
soluzioni.Tradizionalmente i programmi per la sicurezza alimentare si
concentrano sulla certezza del cibo, ma ormai è evidente che il minimo
apporto calorico necessario non sempre assicura i nutrienti necessari a
un corretto sviluppo psicofisico. Le organizzazioni che si occupano di
questo settore hanno ottenuto buoni risultati integrando alimenti di
base come la farina e il sale con vitamine e minerali, ma è il momento
di pensare più in grande.
Sull’esempio dall’Italia, dobbiamo
essere più innovativi in agricoltura: quali cibi producono gli
agricoltori di un Paese, come li coltivano, e anche chi li mangia.
Dobbiamo inoltre prestare maggior attenzione alla salubrità e
all’igiene, perché nei bambini i disturbi intestinali influiscono molto
sul’assorbimento dei principi nutritivi. E dobbiamo anche istruire i
genitori perché possano dare ai loro figli il cibo giusto al momento
giusto - non è solo una questione di dieta sana, ma anche di pratiche
come l’allattamento esclusivo al seno, che ogni anno possono salvare la
vita ad almeno un milione di bambini.
Affrontare il tema della
malnutrizione cronica rappresenta una grande sfida, ma sappiamo che si
tratta di difficoltà superabili. In Perù, ad esempio, nel 2006 un gruppo
di attivisti ha unito le forze denunciando come la malnutrizione
cronica stesse creando un danno enorme al Paese. Il governo ha messo a
punto una serie di programmi della massima incisività, dalla
vaccinazione dei bambini ai corsi rivolti alle madri per insegnare loro
le regole della corretta alimentazione, e il risultato è stato che il
rachitismo in Perù è sceso dal 28 al 18 per cento nel giro di 10 anni -
un vero record. In Etiopia, in passato immediatamente associata alla
carestia, migliaia di consulenti professionali operano nelle comunità
per aiutare tutti i 100 milioni di cittadini ad aver cura della salute e
dell’alimentazione. E il tasso di rachitismo, anche se ancora troppo
elevato, sta scendendo più velocemente che nella maggior parte degli
altri Paesi.
Le famiglie degli agricoltori nei Paesi poveri non
sono organizzate come la comunità internazionale che si occupa dei temi
dello sviluppo e non fanno distinzione tra principi nutritivi, sicurezza
alimentare e agricoltura. Vogliono solo poter dare ai loro figli cibo
sano in quantità sufficiente in modo da dare loro un futuro.
Gli
aiuti internazionali possono offrire nuove potenzialità, soprattutto se
mettono tra le loro priorità la corretta nutrizione. Guardiamo con
fiducia all’Italia e confidiamo nella sua consolidata e generosa
leadership, a cominciare dalla settimana prossima quando i leader di
tutto il mondo si incontreranno al Global Nutrition Summit.
*Imprenditrice americana,con il marito Bill Gates ha creatola fondazione che ha lo scopo di combattere le diseguaglianze sociali
Traduzione di Carla Reschia