La Stampa 18.11.17
Le infezioni in ospedale uccidono due volte di più degli incidenti stradali
Le vittime sono 7 mila l’anno contro 3500 Viene colpito fino all’8 per cento degli assistiti
di Paolo Russo
Si
entra per un intervento chirurgico o per una batteria di controlli e si
esce con una bella infezione. I nostri ospedali brulicano di batteri e
virus che oramai fanno più vittime degli incidenti stradali. Le
infezioni ospedaliere, stima l’Istituto superiore di sanità, mietono tra
le 4500 e le 7000 vittime l’anno, contro le 3500 della strada. Ma sono
oltre mezzo milione i pazienti che ogni anno si ricoverano per curare
una cosa e si trovano a dover fronteggiare un’altra malattia presa
proprio in ospedale. In pratica tra il 5 e l’8 per cento degli assistiti
è vittima di un’infezione ospedaliera.
Che esistesse un problema,
in realtà non solo italiano, lo sapevamo già, ma i dati del rapporto
del Ministero della salute sulle schede di dimissioni ospedaliere mostra
ora un vero boom delle infezioni contratte in corsia o negli ambulatori
dei nostri nosocomi, che negli ultimi dieci anni sono aumentate del
61,2 per cento per gli interventi chirurgici e del 79,6 per cento per
quelli medici, soprattutto controlli endoscopici, come gastroscopie e
colonscopie.
I casi delle infezioni mediche sono oramai 12,39 ogni
100 mila dimessi, mentre quelle chirurgiche sono da brivido: 233 per lo
stesso numero di dimissioni.
Un fenomeno del quale si parla
continuamente in convegni e corsi di formazione ma che continua
inarrestabile a minare sempre più la salute di pazienti già fragili.
Perché l’impennata delle infezioni prosegue inarrestabile nonostante il
numero di ricoveri in Italia sia in calo, visto che molti interventi si
fanno oramai negli ambulatori territoriali.
Quasi 500mila casi
sono dovuti alle infezioni alle vie urinarie perché magari la pulizia
dei cateteri lascia a desiderare, a ferite chirurgiche, polmoniti e
sepsi. Ma a volte a veicolare i microbi sono i mal tenuti sistemi di
areazione dei nostri sempre più obsoleti nosocomi, che hanno oramai
un’età media di settant’anni. Fatto è che circa un’infezione su tre si
sarebbe potuta evitare con un po’ di pulizia e di prevenzione. Che
significa tra le 135 e le 210 mila infezioni sono frutto in qualche modo
di un’incuria che può avere a volte conseguenze letali, visto che
mediamente l’1 per cento di questi casi evitabili causa un decesso. Per
farsi meglio un’idea duemila pazienti ogni anno muoiono per infezioni
evitabilissime.
Ma come sempre quando si parla di sanità la
situazione varia e di molto da una regione all’altra. Anche se, a
sorpresa, in questo caso sembra stare peggio il solitamente più
efficiente Nord. Il record di infezioni dopo un intervento chirurgico lo
detiene la piccola Valle d’Aosta, con 500 casi ogni 100mila dimessi.
Seguono la Liguria con 454 e l’Emilia Romagna con 416, mentre la
Lombardia ne conta 300, Trento 295, il Veneto 273 e l’Umbria 267. In
fascia media il Piemonte con 218 casi. Nel Lazio se ne contano 211
mentre in tutto il Sud solo la Calabria supera quota 200 (con 263 casi).
La più virtuosa è l’Abruzzo con sole 70 infezioni. Resta da capire se
si tratti di maggior bravura e attenzione al fenomeno oppure di un
difetto di rilevazione dei casi.
Il prezzo è comunque salato per
la salute di chi si ricovera ma anche per le malandate casse regionali.
Secondo una ricerca condotta nel maggio scorso dal Ceis dell’Università
Tor Vergata di Roma per ogni infezione ospedaliera si stima vadano in
fumo tra i 9000 e i 10.500 euro.
Moltiplichiamo per il mezzo
milione e passa di casi e lo spreco è quantificabile in almeno 5
miliardi di euro. Quanto basterebbe ad abrogare tutti in ticket, che
valgono 3,5 miliardi e a finanziare le nuove costosissime cure che
spesso arrivano in ritardo per evitare che i conti della sanità vadano
in rosso.