La Stampa 17.11.17
Atenei, la rivolta dei docenti a contratto
“Facciamo didattica pagati 3 euro l’ora”
Denuncia dei precari. La replica dei rettori: “Hanno un ruolo diverso dagli stabili”
di Fabrizio Assandri
«Insegno
in ateneo da 13 anni e sono pagata 3,02 euro all’ora». Maria Grazia
Turri tiene un corso di Linguaggi della comunicazione aziendale
all’Università di Torino e, su Facebook, ha pubblicato il suo contratto,
raccogliendo decine di commenti solidali e indignati da parte dei suoi
studenti. Non è un caso isolato. La sua è la condizione dei «docenti a
contratto», una figura non di ruolo all’interno delle università. È
pensata per le collaborazioni occasionali: a insegnare a contratto
dovrebbero essere professionisti, che hanno un altro lavoro, e che
portano le loro competenze nel mondo universitario. In alcuni casi anche
a titolo gratuito, come per direttori di musei o imprenditori. In
realtà spesso questa figura contrattuale sarebbe solo un modo per
mascherare la precarietà. Almeno, è quanto denuncia il coordinamento
precari della Flc-Cgil, insieme con la rete precari dell’Università di
Bologna, che ha organizzato un incontro sul tema e fatto un’analisi dei
curricula dei professori a contratto dell’ateneo emiliano.
I numeri
Su
544 casi, 166 sono dottori di ricerca, senza altre attività lavorative
che non siano le docenze a contratto. Un centinaio insegna nello stesso
ateneo da oltre 10 anni. Insomma, precari per i quali questo tipo di
collaborazione sottopagata è l’unica opportunità per bazzicare nei
corridoi dell’ateneo. Più spesso si alterna ad altri contratti precari.
«Questo identikit dimostra che in realtà quello che si fa è
esternalizzare la didattica», sostiene Barbara Grüning, del
coordinamento precari e docente a contratto. Lo dimostrerebbe, secondo
la Cgil, anche «la crescita esponenziale: i docenti a contratto erano
16.274 nel 1998, sono saliti a 26.162 nel 2015». Lo stesso ministero ne è
consapevole: il rapporto biennale sul sistema universitario del 2016,
redatto dall’Anvur per il Miur, mette nero su bianco: «I contratti di
insegnamento dovrebbero rappresentare una risorsa speciale e aggiuntiva
del sistema. Tuttavia il personale di ruolo delle università spesso non è
sufficiente a coprire l’offerta formativa; questo ha portato al
ricorso, cospicuo, a personale con contratti di diritto privato», si
legge. L’Anvur dice anche i docenti a contratto sono il 25,5% del totale
(va detto che la loro presenza è molto più forte nelle università non
statali).
I compensi
È vero, ogni ora di lezione frontale in
aula viene pagata da un minimo di 25 a un massimo di 100 euro, a
discrezione del dipartimento, ma nulla è previsto per gli esami, il
ricevimento studenti, le tesi che pure si è tenuti a seguire. «Per
questo ogni ora effettiva ci viene pagata in media meno di dieci euro,
ma anche molto, molto meno», protesta Grüning.
«Ci sono differenze
tra i professori di ruolo e i docenti a contratto. I primi entrano per
concorso e fanno ricerca e didattica basata su di essa i secondi mettono
a disposizione degli studenti la loro esperienza professionale e ciò è
un valore aggiunto» spiega Elisabetta Barberis, prorettrice
dell’Università di Torino, dove quest’anno le ore «a contratto» sono
state 52495 (1557 contratti, per 1014 teste). «È prevista una forbice
ampia nei compensi che permette di ricompensare in modo differenziato la
didattica per i corsi di laurea, master o scuole di specialità, e anche
in dipendenza del numero di studenti da seguire. Il compenso e la
quantità di lavoro richiesti sono noti in anticipo a chi fa domanda. I
singoli atenei non possono intervenire sulla forbice, è prevista dalla
legge». La docente Turri, quella che ha fatto la denuncia sui social,
obietta che Management, il dipartimento di Torino in cui lei insegna,
«si regge sui docenti a contratto». E dal coordinamento precari
protestano chiedendo di essere equiparati alle altre figure accademiche,
almeno nei compensi. «Per trenta ore di didattica frontale - dice
Grüning - ai ricercatori vengono riconosciute 200 ore di didattica, a
noi solo quelle effettivamente di lezione». E in programma hanno
iniziative di protesta, a partire da un questionario sulle loro
condizioni, per iniziare a compattarsi.