La Stampa 10.11.17
“Vi disprezziamo, qui non si entra”
Omertà e sputi nel fortino dei boss
Ma i condomini confessano: “Paghiamo ogni mese per abitare qui”
di Federico Capurso
Il
silenzio avvolge le case popolari di piazzale Gasparri. Gli alveari di
Ostia Nuova, cuore del feudo del clan Spada, sono muti. «È strana, vero?
Dico, questa atmosfera…». La voce, anonima come quella di chiunque
abbia voglia di parlare, arriva dal bancone di un chiosco poco distante
dal mare. «Se non ci fossero tutti questi giornalisti, i blindati della
polizia e i carabinieri, sembrerebbe un quartiere come tutti gli altri».
Ecco, è questo ciò che ormai stride, nel territorio controllato dalla
famiglia criminale degli Spada: la normalità.
Ma non ci sono solo i
passanti ad osservare la scena. Gli affiliati del clan Spada scrutano
dietro le finestre l’arrivo a metà mattinata delle troupe televisive.
Quando le telecamere si accendono di fronte alla «loro» palestra (dove
Roberto Spada ha aggredito il giornalista della Rai) decidono di
scendere nel cortile che si apre all’interno dei sei palazzi gemelli.
Parlano fitto, sottovoce, poi si dividono. Ognuno davanti a un ingresso,
appoggiati alle cancellate, stretti nei loro giubbotti, gli occhiali
scuri calati sugli occhi. Fissano i giornalisti e sputano in terra: «Qui
dentro non si entra». Solo alle forze dell’ordine è concesso il
passaggio. Quando i Carabinieri si affacciano, gli affiliati scompaiono.
Nel cortile, stretto come un corridoio a cielo aperto tra le due file
di case, vige una sola regola: «Camminare guardando verso l’alto, mai a
terra. Possono sempre tirarti addosso qualcosa». Gli uomini dell’Arma
indicano le fitte file di finestre che si alzano sopra di loro. Sembrano
vuote, i balconi sono deserti, ma «c’è sempre qualcuno che guarda».
Molti di quegli appartamenti, infatti, sono abitati da uomini del clan
agli arresti domiciliari. E il loro lavoro, non potendo più uscire,
diventa spesso quello delle vedette.
Quando si scende nel garage,
dove gli occhi delle famiglie criminali non arrivano, ci sono decine di
telecamere ad osservare i movimenti di chi entra e chi esce. Le macchine
sportive e i suv, simbolo della ricchezza ostentata dalle famiglie del
litorale, non ci sono. L’arrivo delle televisioni era previsto, e poi
gli uomini ai piani alti della gerarchia criminale del clan non vivono
nel blocco di case popolari di piazzale Gasparri. Il boss, Carmine
Spada, ha una villa distante circa un chilometro dalla Piazza. E anche
il fratello, Roberto Spada, diventato il reggente della famiglia dopo
l’arresto di Carmine, vive lontano da qui.
Piazzale Gasparri è il
quartier generale; il fortino della droga. Da qui i ragazzi in scooter
trasportano la merce lungo il litorale e fino al centro di Roma. «Oggi è
tutto tranquillo, ma di solito già dall’alba inizia a muoversi una
quantità enorme di droga», racconta la titolare di un’attività
commerciale che decide di parlare, a patto di mantenere l’anonimato.
«Quando sono arrivata, non pensavo fosse così marcia la situazione»,
racconta. «Adesso appena posso vendo, ma a chi?».
Nel mondo della
criminalità di Ostia Nuova non c’è però solo lo spaccio, ma anche il
racket degli alloggi popolari. La droga fornice il potere economico; i
palazzi, invece, il controllo del territorio. L’Ater, l’agenzia che
gestisce gli alloggi popolari, possiede circa due chilometri quadrati di
palazzi a Ostia, dove vivono anche le famiglie normali. Famiglie che
però, spesso, finiscono vittime del racket degli Spada. «Io ho pagato,
per entrare in una casa popolare», racconta Daniela, che il vero nome ha
preferito non dirlo. «Non voglio dire quanto, perché potrebbero capire
chi sono. Adesso pago un canone mensile». Nessuno, all’Ater, ha mai
ricevuto un euro da Daniela e, forse, non ne conosce nemmeno
l’esistenza, ma lei è tranquilla: «Quelli dell’Ater non sono mai venuti e
non credo che verranno mai. Rischierebbero grosso». Dall’altra parte
c’è Massimo. Lui ha deciso di comprare, per i suoi nipoti, la casa
popolare in cui vive da cinquant’anni. «Sono arrivato prima degli
Spada», racconta, «e non saranno loro a mandarmi via. Hanno provato a
fare pressioni, ma sto qui dai tempi della banda della Magliana,
figuriamoci se ho paura di questi». E poi, aggiunge guardando da lontano
il castello del clan, «questo posto somigliava al Paradiso».