domenica 19 novembre 2017

internazionale 11.18.2017
L’economia è in ripresa ma i giovani vanno via 
Dal 2008 un milione e mezzo di italiani si sono trasferiti all’estero, e anche gli stranieri se ne vanno dall’Italia. A lungo termine le conseguenze potrebbero essere molto gravi 
di Valentina Romei, Financial Times, Regno Unito

L’ economia italiana sta facendo del suo meglio da anni, ma gli italiani continuano ad andare via dal loro paese. Il prodotto interno lordo cresce come non faceva dal 2010, l’occupazione è tornata ai livelli precedenti alla crisi e il tasso di inattività è molto basso. E allora perché gli italiani che vivono fuori dal paese sono diventati 5,4 milioni, una cifra che rappresenta quasi il 10 per cento della popolazione totale? E perché in quest’ultimo anno gli italiani che si sono trasferiti all’estero sono aumentati del 3,5 per cento? Da questi dati è facile dedurre che il mercato del lavoro non funziona, che molti giovani con delle ambizioni hanno la sensazione di essere trattati ingiustamente e di non avere ancora beneficiato della ripresa economica. Le cifre ufficiali dicono che dal 2008, anno di inizio della crisi, un milione e mezzo di italiani si sono trasferiti all’estero. E non solo. Anche gli stranieri se ne stanno andando dall’Italia: 45mila nel 2015, più del triplo rispetto al 2007. Queste cifre, però, non rilettono con precisione le dimensioni del fenomeno. Molti italiani non si registrano come residenti all’estero perché temono di perdere i benefici che hanno nel loro paese di origine, in particolare l’assistenza sanitaria. Basti pensare che gli italiani che nel 2016 si sono iscritti alla previdenza sociale britannica sono il doppio di quelli che hanno comunicato ufficialmente all’Italia di aver preso la residenza nel Regno Unito. Popolazione in età da lavoro. Nonostante le buone notizie sulla ripresa dell’economia nazionale, le conseguenze di questo fenomeno potrebbero essere molto gravi. Tenendo conto del basso tasso di natalità in Italia, l’emigrazione costituisce un pericolo per la forza lavoro del paese. Dopo il Giappone, l’Italia ha la più alta percentuale di popolazione sopra i 65 anni, e tra il 1990 e il 2015 la fetta di popolazione in età da lavoro è diminuita del 5 per cento. Inoltre negli ultimi cinque anni il numero degli abitanti tra i 18 e i 44 anni si è ridotto del 6 per cento, mentre la popolazione complessiva è aumentata del 2 per cento. “La perdita di giovani pesa ulteriormente sulla già ridotta popolazione in età da lavoro”, dice Daniel Tarling hunter, dell’Economist intelligence unit. Questi dati sono in contrasto con quelli di altri paesi della zona euro, in cui la ripresa economica ha rallentato il ritmo dell’emigrazione. Dopo un aumento negli anni della crisi, nel 2016 il numero complessivo di persone che sono emigrate dalla Spagna e dal Portogallo è sceso del 5 per cento. E questo avveniva nell’ambito di un calo generale. Rispetto al picco del 2013, l’anno scorso le emigrazioni dalla Spagna sono diminuite del 38 per cento. Sia i dati italiani sia quelli britannici dimostrano anche che la maggior parte delle persone che lasciano l’Italia sono giovani. Secondo le statistiche della National insurance britannica, dal 2002 a oggi più del 90 per cento degli italiani che sono andati a lavorare nel Regno Unito ha meno di 44 anni, e circa il 77 per cento ha tra i 18 e i 34 anni. Le cifre ufficiali dicono che i giovani italiani che emigrano hanno un livello di istruzione più alto rispetto alla media della popolazione. Circa il 30 per cento di loro è laureato. Nel 2002 erano il 12 per cento. Con la partenza dei giovani più qualificati “l’Italia perde anche il loro contributo all’innovazione e alla crescita”, dice Tarling hunter. Le cause di questa fuga di cervelli sono profonde, scrive Guido Tintori, ricercatore associato al Forum internazionale ed europeo di ricerche sull’immigrazione (Fieri), in un articolo di prossima pubblicazione. Tintori sostiene che i giovani laureati “non sono solo sottoccupati e sottopagati, ma costantemente frustrati da una società e da un mercato del lavoro che si basano sul criterio dell’anzianità piuttosto che su quello della competenza”. Inoltre, la ripresa economica non li ha ancora toccati. In Italia la percentuale di giovani disoccupati resta del 35 per cento. 
Spreco di talento 

La fetta di giovani che hanno meno di 34 anni e che non studiano e non lavorano è la più alta dell’Unione europea. Più di metà di chi ha meno di 25 anni ha contratti a tempo determinato. Circa uno su quattro ha un impiego part ­time, senza la possibilità di passare al tempo pieno, una quota più alta che in qualsiasi altra economia ad alto reddito. Tintori ricorda come l’emigrazione italiana sia stata una valvola di sicurezza in tempi di crisi, e “un’opportunità per migliorare il capitale umano degli emigrati”. Ma visti i dati – sugli italiani che emigrano e sulle opportunità che hanno all’estero, su quelli che rientrano in Italia e sul mercato del lavoro che ritrovano – Tintori è convinto che l’attuale tasso migratorio potrebbe essere deinito “un doppio spreco di cervelli: all’estero e in patria”.