il manifesto 30.11.17
Leila Khaled non entra, la Palestina fa paura
Italia.
Roma vieta l’ingresso all'attivista palestinese dopo giorni di campagne
e interrogazioni parlamentari. L'ultimo di una serie di dibattiti sulla
questione palestinese cancellati dalle istituzioni
di Chiara Cruciati
In
Spagna sì. Al parlamento europeo a Bruxelles sì. In Italia no: è
terminato prima di cominciare, all’aeroporto di Fiumicino di Roma, il
viaggio di Leila Khaled in Italia. Ufficialmente per la non validità del
visto Schengen (che gli organizzatori del tour smentiscono),
ufficiosamente per la campagna da settimane attiva online e sui
quotidiani nazionali per non far parlare l’attivista palestinese nel
nostro paese.
Leila Khaled fa ancora paura. Una raccolta firme è
stata lanciata sulla piattaforma Change.org «contro la terrorista
palestinese», mentre sui media esponenti della comunità ebraica italiana
denunciavano «la visita dell’ex terrorista».
La stessa che a fine
settembre ha parlato a Bruxelles, su invito di membri del parlamento
Ue, del ruolo delle donne nel movimento di liberazione palestinese. In
Spagna ha fatto altrettanto.
Leila Khaled oggi
In Italia era
attesa a Cagliari, Napoli e Roma, tre incontri organizzati dall’Udap,
l’Unione democratica arabo-palestinese. Che ora denuncia: il visto era
valido.
Diversa la versione del ministero degli interni: «Le
normali procedure di verifica sulla regolarità dei titoli necessari
hanno evidenziato come fosse sprovvista di un visto Schengen in corso di
validità». È successo martedì, ora Khaled è di nuovo in Giordania, dopo
essere stata imbarcata sul primo volo.
A muovere il ministero è
stata l’interrogazione parlamentare presentata alcuni giorni fa da Mara
Carfagna, portavoce di Forza Italia e consigliere comunale a Napoli
(Khaled avrebbe dovuto parlare all’Asilo Filangieri dove era stato
invitato anche il sindaco della città, De Magistris): chiedeva conto a
Minniti degli incontri previsti «in un momento così delicato per la
lotta contro il terrorismo internazionale».
Tanto rumore e tanta
indignazione a cui alcuni quotidiani italiani hanno dato voce e che
secondo gli organizzatori altro non sono stati che un atto di censura.
Come quelli che hanno caratterizzato l’ultimo anno, una sequela di
cancellazioni di eventi sulla questione palestinese a seguito delle
aperte pressioni della comunità ebraica italiana e dell’ambasciata
israeliana.
A marzo la Sapienza negò all’ultimo momento la sala
per l’evento «È tempo di giustizia in Palestina. Le responsabilità
dell’Europa», organizzato tra gli altri da Arci, Fiom e Assopace
nell’ambito delle celebrazioni per i 60 anni del Trattato di Roma.
Pochi
giorni prima il Comune aveva bloccato la programmazione di tre film
palestinesi al Nuovo Cinema Aquila di Roma. A febbraio Sinistra Italiana
aveva revocato la richiesta di una sala in Campidoglio per un evento
della campagna Bds (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) a cui
doveva prendere parte Ann Wright, ex diplomatica e marine Usa, oggi
attivista per i diritti umani, dopo le accese proteste dell’ambasciata
di Israele e della comunità ebraica romana.
Forse non è Leila
Khaled a far paura. A far paura è la Palestina, sradicata dal discorso
politico – a partire da quello di sinistra – e ridotta da lotta
anti-colonialista a mera questione di ordine pubblico. Khaled è un
simbolo per molti: per Israele è emblema del terrorismo, per gli
anti-sionisti di resistenza.
È stata motivo di ispirazione
politica per tanti palestinesi che l’hanno conosciuta negli anni ’60 e
’70 quando, da militante della formazione marxista Fronte Popolare per
la Liberazione della Palestina (Pflp), compì due dirottamente aerei.
Entrambi si conclusero senza vittime, Khaled non ha mai ucciso: l’ordine
del Pflp era di non mettere nessun passeggero in pericolo (nel secondo
caso, non usò le due granate che aveva con sé quando intervenne la
sicurezza).
Rifugiata dal 1948, è tuttora membro dell’Ufficio
politico del Consiglio nazionale palestinese, per il quale lavora da
Amman dove è in auto-esilio per evitare l’arresto in Israele.
Sullo
sfondo resta un paese, l’Italia, non più capace di affrontare la
questione palestinese se non a colpi di censura e rimozione del
dibattito.