il manifesto 22.11.17
Non Una Di Meno: «Abbiamo un piano ed è femminista»
25
novembre. Verso la manifestazione di sabato, a Roma e in altre piazze.
Presentata la sintesi «contro tutte le forme di violenza di genere». I
punti principali: centri antiviolenza, educazione, formazione, reddito
garantito
di Alessandra Pigliaru
In contemporanea
a Roma e Milano, ieri sera Non Una Di Meno ha presentato il primo
«Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e tutte le
forme di violenza di genere». Si tratta di una sintesi articolata in
numerosi punti di cui conosceremo la più articolata stesura il 25 di
novembre. In occasione della giornata internazionale contro la violenza
sulle donne, Non Una Di Meno – oltre ad aver annunciato la
manifestazione di piazza (forte del grande riscontro dell’anno scorso) –
renderà nota la versione completa.
SAREBBE tuttavia ingeneroso
leggere questa primo confronto pubblico avvenuto ieri come una mera
anticipazione poiché dal testo si evincono già, e si chiariscono, molti
dei punti programmatici del progetto politico originario, inteso come
articolata scommessa di tenere insieme più linguaggi, più pratiche
politiche e – soprattutto – più esperienze intergenerazionali. Il focus,
oggi come allora, ruota intorno ai centri antiviolenza, «luoghi di
elaborazione politica, autonomi, laici e femministi al cui interno
operano esclusivamente donne e il cui obiettivo principale è attivare
processi di trasformazione culturale e politica e intervenire sulle
dinamiche strutturali da cui origina la violenza maschile e di genere
sulle donne».
Tutto, già allora, disposto in modo da sperimentare
questo genere di scrittura collettiva (le mani si sentono diverse dalla
elaborazione dei punti) che tuttavia è una delle forze del soggetto
politico di Non Una Di Meno. Se negli ultimi mesi vi sono state delle
frizioni, spesso virtuali, ciò che ha resistito in questo lungo anno di
lavoro sono state le decine di assemblee in più di 70 città, i 5
incontri nazionali, lo sciopero globale dello scorso 8 marzo,
l’ostinazione di tenere tra le mani gli esiti dei tavoli tematici. È
infatti da questi ultimi che emergono i nove punti, ciascuno dei quali è
preceduto da un hashtag eloquente: #LIBERE DI. La sintesi si apre con
alcune considerazioni su femminismo e scuola, luogo d’elezione – insieme
all’Università – in cui primariamente si può attivare quel processo
educativo di contrasto alla violenza maschile contro le donne; insieme
all’ «abolizione della Legge 107/15 e della riforma Gelmini e apertura
di un processo dal basso di scrittura delle riforme di scuola e
università, che preveda anche la rimodulazione dei contenuti e dei
programmi». Uno spazio anche per ricordare quanto siano importanti i
finanziamenti pubblici e strutturali.
IL DOCUMENTO prosegue con la
formazione «permanente e multidisciplinare» interna ai centri
antiviolenza (figure professionali e qualsiasi elemento coinvolto dagli
avvocati agli insegnanti eccetera). La formazione si allarga ad altre
professioni, «dai media all’industria culturale», per cominciare a
decostruire «narrazioni tossiche» e analfabetismi discriminatori
altrettanto noti. Del resto anche la rappresentazione dello stesso modo
di narrare è dirimente; lo sa anche Non Una Di Meno che infatti poco
dopo ritorna sulla parola «tossica» per definire alcune storture
produttrici di storie a sfondo sessista quando non addirittura del tutto
incidentali (pensiamo ai casi di femminicidio). La violenza,
specificano, è invece strutturale perché «nasce dalla disparità di
potere, non è amore, è trasversale e avviene principalmente in famiglia e
nelle relazioni di prossimità. (…) La violenza non divide tra “donne
per bene” e “donne per male”, e gli uomini che agiscono violenza non
sono mostri, belve, pazzi, depressi. Questi ed altri principi
confluiranno in una carta deontologica rivolta agli operatori ed
operatrici del sistema informativo e mediatico». Il terzo punto si
concentra invece sulla libertà di autodeterminarsi e di disporre della
propria salute, sia psichica che fisica, sessuale e sociale. Dopo un
necessario focus sulla piaga dell’obiezione di coscienza che ancora
imperversa nel servizio sanitario nazionale, la seconda questione è
relativa alla violenza ostetrica come una delle forme di violenza contro
le donne. Sfruttamento e precarietà rappresentano invece i due poli
dello sguardo sulla violenza economica; si leggono richieste tipo:
«Chiediamo salario minimo europeo e reddito di base incondizionato e
universale come strumenti di liberazione dalla violenza, dalle molestie e
dalla precarietà» e ancora «Vogliamo un welfare universale, garantito e
accessibile, politiche a sostegno della maternità e della genitorialità
condivisa».
QUALCHE importante riga, di carattere più teorico, è
dedicata alla violenza biocida, ovvero quella ambientale e contro i
viventi. L’adeguamento alle varie direttive europee in tema di violenza o
la possibilità di accedere – per le donne che hanno subito violenza e
stanno facendo un percorso di fuoriuscita – alla casa o a corsie
preferenziali per i procedimenti civili o penali, è un altro punto.
Appuntamento al 25 novembre per sapere il resto.