il manifesto 18.11.17
Con il Pd uniti si perde
di Antonio Floridia
«Uniti
si perde»: ha detto Bersani, suscitando scandalo tra le vestali
accorate che invocano la ricomposizione del centrosinistra. Ma
l’affermazione non solo è corretta, ma anche empiricamente verificabile.
Come sanno tutti coloro che, in questi giorni, stanno analizzando le
simulazioni sulla base dei sondaggi. Prima fra tutte quella, molto
affidabile, di Ipsos, pubblicata dal Corriere della Sera. Capire perché
Bersani ha ragione è anche un modo per spiegare il panico che si sta
diffondendo tra le file del Pd e per interpretare la fase che si apre
ora, quella in cui le varie forze mettono a punto la propria strategia
per adattarsi alle nuove regole.
Com’è noto, la nuova legge
prevede l’assegnazione di 231 seggi nei collegi uninominali e 386 seggi
proporzionali. Ora, la domanda cruciale è la seguente: quanti sono i
collegi veramente «contendibili», quelli cioè in cui la presenza o meno
di una coalizione può determinare un esito diverso? Pochi: forse intorno
ai sessanta, su 231. Ad esempio, in Lombardia Ipsos assegna 35 collegi
su 38 al centrodestra: in quanti di questi, un’eventuale alleanza tra il
Pd e la sinistra potrebbe cambiare le cose? Non abbiamo dati certi,
ovviamente; ma basta guardare la geografia elettorale per comprendere
come siano molto pochi, forse nessuno. E così pure, a parti rovesciate,
in una regione come la Toscana. Ma, a questo punto, entrano in gioco
considerazioni politiche: come reagirebbero gli elettori ad un’offerta
elettorale che vedesse insieme il Pd e Mdp (assumendo che, in tal caso,
ci sarebbe comunque una lista di sinistra fuori da questa alleanza)? È
evidente che Mdp avrebbe tutto da perdere da questa «coalizione» (dando
per scontato, ovviamente, la scarsissima credibilità delle basi
politiche e programmatiche su cui potrebbe realizzarsi). È certo che una
parte consistente dei suoi potenziali elettori non lo seguirebbe, e
quindi Mdp sarebbe penalizzato anche nella quota proporzionale. Non
solo: in tal caso, Mdp potrebbe entrare nella zona a «rischio-soglia»,
con il bel risultato di bruciare del tutto la propria rappresentanza
proporzionale e regalare seggi al Pd. In cambio di cosa, poi? Di qualche
seggio contrattato nei collegi? È evidente che si tratterebbe di un
gioco a perdere.
Di tutto ciò il Pd non può accusare altri che se
stesso: è sempre più evidente che questo sistema elettorale è una
trappola mortale, in cui il Pd si è cacciato con le proprie mani.
Secondo la citata simulazione Ipsos, il centrodestra, con il 35% dei
voti, otterrebbe circa la metà dei collegi uninominali; e il Pd, più o
meno, otterrebbe gli stessi seggi che avrebbe potuto ottenere con un
sistema integralmente proporzionale. La totale irragionevolezza di
questo sistema elettorale diviene sempre più evidente, man mano che
emergono le sue implicazioni per il comportamento strategico degli
attori politici.
«Uniti», quindi, non si vincerebbe; anzi, si
incoraggerebbe un’ulteriore distacco e disorientamento di
quell’elettorato di sinistra che mai e poi mai voterebbe per il Pd o per
una lista alleata del Pd. Ed è davvero singolare il battage che alcuni,
e alcuni gruppi editoriali stanno imbastendo sulle «divisioni» della
sinistra: si continua a ragionare come se si votasse per l’elezione di
un sindaco, o si votasse ancora con il Porcellum, quando «vince» chi
prende un voto in più dell’avversario. Ma non è così: la prevalente
quota di seggi proporzionali, da un lato, e la quota modesta di collegi
realmente in bilico, fanno sì che, se le attuali intenzioni di voto
saranno confermate dalle urne, nessuno in realtà potrà dirsi vincitore,
quali che siano le coalizioni che si formeranno.
È del tutto
evidente che la retorica di questi giorni, o l’affannosa ricerca di
mediazioni, sono una pura chiacchiera. È bene che a sinistra si sia
avviato finalmente il processo di costruzione della lista unitaria ed è
auspicabile che possa essere quanto più possibile inclusivo, dando voce e
rappresentanza ad una sinistra plurale. La fase che si apre è molto
delicata: in particolare, sarà decisiva la qualità, la forza e il
radicamento territoriale delle candidature, e conterà molto anche la
loro dislocazione. È evidente, ad esempio, che, per i meccanismi della
legge, saranno decisive candidature molto rappresentative e unificanti
anche nei collegi uninominali, per il «traino» che ne potrà venire al
voto sulla lista. E allora, tutti, a sinistra, dovrebbero mostrare
umiltà e senso di responsabilità: anche perché solo un buon risultato
elettorale potrà consentire che la successiva discussione politica si
svolga in modo proficuo. Un buon risultato costituisce la premessa
necessaria, anche se da sola non sufficiente, perché a sinistra si possa
costruire qualcosa di nuovo e di solido, quali che siano le idee di
ciascuno per il futuro.