Corriere 26.11.17
Chi sono gli hikikomori Gli adolescenti autoreclusi sempre attaccati a Internet
Il termine è nato in Giappone ma il fenomeno è in costante crescita anche nel nostro Paese
di Cristina Marrone
Si
chiamano hikikomori , sono gli adolescenti che rifiutano il mondo e si
chiudono in camera senza più volerne uscire per mesi o addirittura anni.
Ma
è soltanto il nome a essere giapponese, perché il fenomeno, esploso nel
Paese del Sol Levante negli anni Ottanta, è da tempo in crescita anche
nel nostro Paese.
«I ragazzi vittime del ritiro sociale non vanno a
scuola, stanno sempre al computer, non partecipano a nessuna attività
sociale» spiega Davide Comazzi, psicoterapeuta, coordinatore del
consultorio gratuito del centro milanese “Il Minotauro”, che si occupa
da molto tempo di disagio adolescenziale.
I primi casi da noi sono stati diagnosticati nel 2007 e da allora i numeri aumentano anno dopo anno.
«Non
sappiamo con precisione quanti siano i giovani italiani che si sono
“ritirati”, le stime parlano di 100 mila casi. La maggior parte sono
maschi, hanno 15-16 anni, ma l’età di esordio si è ultimamente abbassata
e sono coinvolti anche ragazzi delle scuole medie» precisa l’esperto,
autore insieme ad Antonio Piotti e Roberta Spiniello del libro “Il corpo
in una stanza” (Franco Angeli, 2015), indagine sugli hikikomori
italiani.
È facile confondere il dramma del ritiro sociale con la
dipendenza o la depressione, perché molti aspetti sono comuni. Ma questi
ragazzi in realtà, se sono privati di Internet, fanno altro, sempre
nella loro stanza.
«Di solito chi è depresso si sente triste,
piange, non riesce a relazionarsi. Invece negli hikikomori — chiarisce
Comazzi — il sentimento prevalente è la vergogna, l’incapacità di
reggere il peso dello sguardo dei coetanei. Questi ragazzi possono
sembrare lazzaroni o incapaci di affrontare la frustrazione delle scuole
superiori, in realtà si sentono sempre in pericolo. Le regole sono
cambiate e improvvisamente non devono più fare i “bravi bambini”. Si
ritrovano con un corpo cresciuto e devono essere belli, forti, capaci di
conquistare una ragazza. Ma non si sentono all’altezza e sperimentano
un sentimento di mortificazione. Temono la competizione, il rifiuto. I
primi sintomi del ritiro sociale sono fisici: soffrono di mal di pancia,
cominciano a restare a casa e a un certo punto non escono più».
Ma
chi sono gli adolescenti a rischio? Si può facilmente cadere
nell’errore di credere che siano solo ex bambini viziati e non abituati
alle frustrazioni. «Non è così — precisa l’esperto — non sempre alle
spalle dei ritirati sociali ci sono genitori che le danno tutte vinte.
Piuttosto, invece, questi ragazzi crescono spesso in un clima di alte
aspettative, perché non di rado sono anche talentuosi. Tutti si
attendono grandi cose da loro, che però non si sentono all’altezza. Così
alcuni chiudono la partita molto presto: abituati ad andare bene si
ritrovano a non funzionare e allora, per vergogna, si rifugiano in una
stanza».
Posti di fronte alle comuni sfide della crescita scelgono
di evitare il mondo esterno e si autorecludono nella propria camera,
dove i contatti sono limitati all’universo virtuale, con i videogiochi e
i social network.
Tagliati i ponti con il mondo che sta fuori,
gli hikikomori si rifugiano in un universo parallelo attraverso la Rete,
grazie alla quale è possibile costruire legami senza mettere in gioco
la propria fisicità: su Internet è tutto virtuale, nessuno si aspetta
nulla ed è facile crearsi una vita fuori dalla vita.
Ma la Rete,
pur messa sotto accusa, può talvolta rappresentare anche la chiave che
permette ai “ritirati” di tornare nel mondo, quello reale, di restare in
contatto con i coetanei. «Tanto più questi ragazzi si vergognano da un
punto di vista virile, tanto più si allenano online e diventano
bravissimi nei videogiochi di competizione» sottolinea Comazzi. «Con
l’allenamento in Rete inizia una sorta di riabilitazione. Iniziano in
modalità offline poi, acquisendo sicurezza compaiono online e lì tornano
a creare il gruppo dei maschi rigorosamente virtuale, dove riescono a
farsi accettare e talvolta anche a diventare leader. Si addestrano ad
assumere codici maschili, qualcuno si crea anche una mini palestra in
casa. I partecipanti a questi gruppi decidono magari poi di incontrarsi
all’esterno e inizia così la rinascita».
Naturalmente è sempre una
questione di misura e gli adulti devono vigilare e accettare il ritiro
come una fase transitoria, senza forzare mai i tempi. Il ragazzo non va
costretto a uscire se non si sente pronto, perché vivrebbe un’esperienza
di mortificazione troppo forte. In famiglia l’aiuto principale più che
dai genitori arriva dai fratelli, che non vedono “l’isolato” come una
persona male.
«Ricordo il caso di un adolescente ritirato —
racconta Comazzi —. I genitori erano angosciati. Dopo un percorso
terapeutico che ha coinvolto la famiglia, un giorno la sorella lo ha
invitato ad uscire con lei e il fidanzato per mangiare una pizza.
Evidentemente si sentiva pronto, ed ha lasciato la sua camera. E quel
giorno ha ricominciato a vivere».