Corriere 24.11.17
Il futuro della sinistra. Durante le elezioni
siciliane ha molto coplito il fatto che non si sia sollevato un solo
dibattito su una proposte, su un programma di governo
Basta con i calcoli politici serve un progetto per l’italia
di Massimo Bray
Caro
Direttore, alcuni mesi fa ho potuto esprimere alcune opinioni e
dichiarare alcune aspettative sulla politica del nostro Paese e, in
particolare su quella della sinistra. Mi auguravo che, alla vigilia del
voto in Sicilia, si facesse uno sforzo da parte di tutti per costruire
una nuova identità riformista, convinto come sono che se la sinistra
vorrà ritrovare un legame col suo elettorato dovrà essere capace di
elaborare e condividere un progetto e un’agenda politica fortemente
discontinui rispetto a ciò che è accaduto in questi anni.
Una
scelta coraggiosa, necessaria per superare quel sentimento di diffidenza
diffusa che c’è nell’elettorato. Mi è difficile dimenticare i dati
emersi nei giorni successivi al referendum sulle riforme costituzionali:
la quasi totalità dei giovani e un numero impressionante degli altri
elettori hanno votato contro le proposte del partito democratico.Allo
stesso modo credo colpisca tutti il dato di astensionismo delle recenti
elezioni siciliane. Da parte mia lo leggo, da una parte come una forma
estrema di scoramento e, dall’altra, come l’ennesima dimostrazione di
richiesta di cambiamento che i cittadini rivolgono, con «pazienza
democratica», alla politica e ad una sinistra che appare più interessata
ad una ricostruzione basata su alchimie elettorali e non su scelte
sociali e culturali.
Un progetto che allontani il dubbio (o,
peggio ancora la certezza) che la sinistra rappresenti ormai solo i
«poteri forti» e sia incapace di condurre battaglie per l’eguaglianza, i
diritti sociali, il superamento di ogni forma di discriminazione.Una
sinistra che non lasci alla destra il compito di difendere le parti più
svantaggiate della società e di dare risposte alle «paure» che i
cittadini vivono quotidianamente.Una sinistra che non abbia bisogno di
«copiare» la sua agenda politica, né di inseguire facili consensi di
breve durata, ma abbia la forza di pensarla e confrontarla con i
cittadini.
Ma per far questo dovrà essere capace di riconoscere
con sincerità e umiltà gli errori fatti in questi anni — anche questo
sarebbe un segno di forza e di vero cambiamento — e affermare con
chiarezza da che parte stare di fronte ad un sistema iniquo che in
questi quarant’anni ha favorito l’accumulo di enormi ricchezze nelle
mani di pochi e l’accentuarsi di forme di diseguaglianza e precarietà
non più sopportabili. Gli ultimi quarant’anni, ha scritto Tony Judt,
sono «stati consumati da locuste» e sono stati gli anni in cui la
destra, di Reagan e della Thatcher, come molta sinistra europea, hanno
governato il mondo e inventato il modello politico dell’appalto dello
Stato. Ma sono stati lunghi anni in cui la sinistra ha commesso un
secondo grave errore: l’illusione di poter governare la globalizzazione,
accettando l’idea di superare le identità nazionali.
Abbiamo
bisogno di una sinistra che esca da questa storia, una sinistra che
sappia affrontare le sfide del XXI secolo, capace di domandarsi se le
strutture istituzionali del Novecento siano ancora in grado di
confrontarsi con le sfide della contemporaneità. Abbiamo bisogno di uno
Stato che garantisca i diritti dei cittadini, mostrando di voler
superare il cancro della corruzione attraverso un progetto di reale
efficienza e trasparenza, che non vuol dire pubblicare gli stipendi e
l’agenda dei ministri sui siti ma definire le politiche pubbliche
attraverso processi partecipati in cui le scelte finali vengano compiute
solo quando il decisore politico compia un bilanciamento tra gli
interessi opposti e abbia la ragionevole certezza che le azioni che
intende compiere siano idonee al raggiungimento del bene comune.
Una
politica che elabori una differente economia di mercato che metta al
centro delle scelte la volontà di investire in servizi pubblici di
qualità, a partire dalla sanità, dalla scuola e dall’università, che
vari un coraggioso e innovativo progetto per contrastare l’inquinamento
atmosferico, per essere competivi nell’innovazione tecnologica, per
tutelare i beni culturali e il paesaggio - solo in questo modo si
svilupperà un turismo sostenibile, un progetto che investa nella
riqualificazione delle nostre città, nella capacità di pensare il loro
futuro, nell’impatto delle tecnologie sull’occupazione e nella necessità
di un profondo rinnovamento delle politiche del lavoro.
Una
sinistra capace di mostrare il volto dell’ottimismo, di un ottimismo
basato sulla consapevolezza che nel Paese esistono le energie e le forze
per scrivere pagine di storia fatte di speranze e di opportunità, di
idee e contenuti. Passioni, intelligenze che possiamo rintracciare
osservando l’energia che si «respira» nei centri di ricerca, nei
coworking, nelle startup, nelle biblioteche, nelle scuole, nei festival
culturali, nelle innumerevoli associazioni che difendono il patrimonio
culturale, nelle donne e negli uomini che dedicano molto del loro tempo
al volontariato. Una sinistra, scrivevo, capace di abbandonare quei
personalismi, che hanno accentuato il suo essere «divisiva» e non
inclusiva.
Credo non abbia colpito solo me, ma moltissimi
cittadini il fatto che durante le elezioni siciliane non si sia
sollevato un solo dibattito su una proposta, su un programma di
governo.La nostra memoria difficilmente potrebbe ricordare i punti
caratterizzanti di un’agenda politica per una delle realtà più complesse
e significative del Mezzogiorno. Al contrario ricordiamo le
interminabili discussioni sulla scelta del candidato, noiose non meno di
quelle sulla scelta del candidato premier.Ci piacerebbe, al contrario
ascoltare e capire a cosa serva questa leadership, quale posizione
abbia, ad esempio, rispetto alle questioni sociali o a quelle
ecologiche.
Ecco perché sono convinto che non si possa più perdere
tempo dietro la ricerca di strategie basate esclusivamente sul
«calcolo» politico, ma sia necessario e urgente confrontarsi, nel modo
più aperto possibile, su un progetto e un’idea di Paese.La buona
politica ha bisogno di empatia, di idee, di pragmatismo e, soprattutto,
di visione.