Corriere 22.11.17
Fassino insiste, il muro dei bersaniani
Il pontiere dem sente Speranza, che chiude alla possibile intesa
E oggi incontrerà i suoi emissari
di Monica Guerzoni
ROMA
«La speranza è l’ultima a morire», sospira Piero Fassino. E, per quanto
stremato da giorni di incontri e decine di telefonate, il costruttore
di ponti tra il Nazareno e il cantiere della nuova sinistra ancora non
si arrende. Diritti del lavoro, diseguaglianze, ius soli, legge di
bilancio? Basta trovare «le misure e gli strumenti» e il gioco è fatto.
Il pontiere ha chiamato Roberto Speranza e ha intonato ancora un appello
all’unità. Ma il coordinatore di Mdp non gli ha lasciato margine di
manovra e si è limitato a promettere «la cordialità di un incontro».
La
mini-delegazione che oggi a metà mattinata vedrà Fassino alla Camera
sarà formata da Giulio Marcon per Sinistra italiana e Possibile e da
Cecilia Guerra per Mdp. L’ex sindaco chiederà «un confronto senza tabù»,
ma la presidente dei senatori bersaniani ha ben chiare «le enormi
differenze di merito tra le nostre proposte e quelle del Pd». D’altronde
domenica Speranza ha detto no a ogni possibile trattativa e la sua
relazione è stata approvata all’unanimità: «Siamo di una fermezza
granitica. Andiamo dritti come un sol uomo verso l’assemblea costituente
del 3 dicembre, poi si vedrà».
Un’altra porta in faccia. Eppure
gli appelli di Prodi e Veltroni hanno acceso qualche scintilla di
ripensamento tra i parlamentari della sinistra. «Bersani dice di
rivederci dopo il voto? Se si vuole far sul serio, c’è ancora tempo da
ambo le parti prima delle elezioni», ha dichiarato Rosy Bindi a Radio
Capital. Dentro Mdp c’è chi teme uno smarcamento da parte di Pietro
Grasso, chi ha paura di perdere il seggio e chi sa che la spaccatura del
centrosinistra ha un prezzo.
«È chiaro che alle elezioni si
prevede un esito non positivo — ammette Alfredo D’Attorre —. Ma se ci
ammucchiassimo senza un cambiamento profondo il bilancio del voto
sarebbe più negativo ancora». Non teme di restare senza scranno? «Se
siglassimo un accordo di convenienza non ci voterebbe nessuno. Per
cambiare strategia deve succedere qualcosa di profondo». Il senatore
Federico Fornaro riconosce che la sirena di Prodi non lo ha lasciato
insensibile: «Guardiamo a lui con molto rispetto. Ma dov’erano i
pontieri mentre Renzi approvava una legge elettorale senza voto
disgiunto?». Per Nico Stumpo «nulla può più cambiare, la scaletta del 3
dicembre è pronta». Per quella data ci sarà anche il nome della lista,
da scegliere tra «La sinistra», «Libertà e uguaglianza», «Eguaglianza», o
«Liberi ed eguali».
A Rtl Bersani dice di non avere «alcuna
chiusura nei confronti di Renzi», però gli dà appuntamento al 5 marzo.
Il tempo dunque è scaduto, ma non per Fassino. «Io insisto, incontrarsi
dopo le elezioni per raccontarsi che le abbiamo perse non mi pare una
grande idea». Una mozione unitaria che tra i dirigenti della nuova
sinistra non fa breccia, anzi. Quando gli riferiscono dell’ultimo
appello di Fassino, Bersani si blocca sulla soglia dell’Aula di
Montecitorio: «Stoppano la nostra proposta sull’articolo 18 e poi ci
invitano al confronto? Non scherziamo, qui non ci danno nemmeno la
dignità della discussione sul problema cruciale dei prossimi 15 anni,
cioè il lavoro».
Una coalizione vincente fatica a nascere, ma sul
piano della comunicazione la mossa di Renzi di affidare la mediazione ai
padri nobili ha funzionato. Dalemiani e bersaniani hanno capito che
saranno loro a restare con il cerino in mano, eppure non torneranno
indietro, a costo di incassare attacchi un po’ scomposti. Monica Cirinnà
affonda: «Mdp? Solo reduci». Un’uscita che Miguel Gotor spiega con «il
nervosismo» di chi ha fiutato la batosta: «Dichiarazioni grette, che
contraddicono lo spirito dell’iniziativa di Fassino». Avanti così,
consapevoli di farsi (reciprocamente) del male.