Corriere 21.11.17
I cinque errori della cancelliera
di Danilo Taino
Merkel
paga l’apertura ai rifugiati (senza un vero piano), il fallimento
sull’energia, la lobby dell’auto, gli sbagli sulla Brexit. E infine quel
sì a Obama sulla ricandidatura.
Se il presidente federale tedesco
fosse costretto a indire nuove elezioni, è probabile, o almeno
possibile, che Angela Merkel non sarebbe più la candidata della Cdu alla
cancelleria. Lo stesso si può dire per il leader socialdemocratico
Martin Schulz ed è quasi certo per Horst Seehofer, il capo della Csu,
gemella bavarese della Cdu. Sono i tre partiti che hanno perso elettori
in quantità lo scorso 24 settembre. Quel che più conta per i tedeschi e
per gli europei è naturalmente l’eventuale uscita di scena della
cancelliera. Sarebbe un cambio di stagione notevolissimo. Cambio che in
realtà è in atto, nuove elezioni o meno.
Com’è possibile che la
leggenda di Angela Merkel, 63 anni, da 12 alla guida del governo di
Berlino, si sia incrinata in una notte e ora rischi di andare in
frantumi? Non erano scritte sulla sabbia la sua capacità di leadership
moderata, il sapersi mettere sulla lunghezza d’onda dei tedeschi,
l’abilità a tenere uniti gli europei sulla Grecia come sulla Russia, la
difesa dei valori democratici e della libertà economica e dei commerci,
l’autorevolezza internazionale, la conoscenza dei dossier. Qualità vere.
Il problema è che hanno oscurato una serie di errori seri che ha
commesso nella dozzina d’anni alla guida della Germania. Errori che sono
venuti a presentare il conto prima alle elezioni del 24 settembre,
nelle quali la sua Cdu-Csu è caduta dal 41 al 32,9%, e poi nel
fallimento dei colloqui per una nuova coalizione con Liberali e Verdi.
L’errore
più pesante ha riguardato l’apertura ai rifugiati nell’estate 2015. Non
il fatto in sé, generoso e forse inevitabile. Piuttosto, l’averlo fatto
in grande ritardo — la cancelliera lo ha ammesso — e senza un piano non
solo per accogliere i profughi ma per placare i timori dei tedeschi che
soffrono dell’arrivo di molti immigrati. Ciò ha consentito al partito
nazionalista Alternative für Deutschland di conquistare quasi il 13%
alle elezioni. La politica energetica tedesca, vanto della
Klimakanzlerin , è sostanzialmente un flop. I sussidi alle fonti
alternative accoppiati all’uscita dal nucleare (entro il 2022) sono
stati costosissimi (per gli utenti elettrici soprattutto) e hanno
distorto i meccanismi del settore. Il risultato è stato che la Germania
non rispetterà l’obiettivo di tagliare del 40% le emissioni di gas serra
entro il 2020, rispetto al 1990 (siamo al 27-30%), e che anzi negli
scorsi due anni le emissioni tedesche sono aumentate per il maggiore
ricorso al carbone. Si parla di Kohlekanzlerin .
In parallelo, la
relazione quasi incestuosa tra governo, partiti e case automobilistiche
in Germania è andata avanti senza che Merkel facesse nulla per fermarla
fino a pochi mesi fa, ben dopo lo scandalo Dieselgate alla Volkswagen.
Mentre si parlava di lotta alle emissioni, si chiudeva un occhio sulle
scorrettezze del settore, anzi lo si difendeva a Bruxelles. Per 12 anni,
poi, i tre governi guidati dalla leader non hanno sostanzialmente fatto
riforme economiche in un Paese che protegge non solo il settore auto ma
anche i servizi, dal commercio alle banche, dalle assicurazioni alle
professioni. Le ultime riforme significative sono quelle famose del 2003
del governo di Gerhard Schröder. Alcuni critici aggiungono la
sottovalutazione che la cancelliera avrebbe avuto in fatto di Brexit:
non lavorò affinché la Ue concedesse qualcosa in più all’allora primo
ministro britannico David Cameron affinché si presentasse in patria con
riforme capaci di convincere gli elettori a restare nell’Unione.
Errori
di politica. Più un errore politico: presentarsi per la quarta volta
alle elezioni. In realtà, va detto che Merkel ha avuto dubbi per mesi:
sapendo che quattro mandati sono troppi in un Paese democratico. Di
fronte alla crisi dei migranti che in qualche modo aveva contribuito ad
aprire e al disordine mondiale si è lasciata convincere (anche
dall’amico Barack Obama) a scendere di nuovo in campo. Fatto sta che
oggi questa non sembra essere stata una buona idea. Punti di forza ne ha
ancora. Ma uno, del quale si parla sempre, vacilla: l’essere senza
alternative. Non è vero: se la domanda sale, un’alternativa nasce.