sabato 28 ottobre 2017

Repubblica 28.10.17
La doppia anomalia nel governo e al Senato scelte a metà che parlano solo al Palazzo
I presagi di una campagna elettorale scomposta in attesa di un Parlamento dagli assetti imprevedibili
Il precedente del1953, quando Paratore si dimise da presidente
di Stefano Folli

LE ANOMALIE istituzionali sembrano diventate la regola in questo opaco scorcio finale della legislatura. Due in particolare: la diserzione dei ministri renziani sul caso Visco e le bizzarre modalità con cui il presidente del Senato ha marcato le sue distanze dal Pd. Quasi due facce della stessa medaglia. Sono anomalie che segnalano l’avvio di una campagna elettorale scomposta, in attesa di un nuovo Parlamento dagli assetti imprevedibili.
CIRCA il primo punto, viene la tentazione di non credere ai propri occhi nel leggere che tre ministri (Lotti, Martina e Delrio) hanno rinunciato a prender parte al Consiglio dei ministri di ieri a causa di «precedenti impegni ». Quale può essere l’impegno precedente che impedisce a un ministro della Repubblica di partecipare, non alla presentazione di un libro, bensì al Consiglio, una priorità che dovrebbe essere inderogabile (e che peraltro si svolge nel giorno canonico di venerdì)? E quale può essere il malessere che ha tenuto lontana da Palazzo Chigi anche la sottosegretaria Boschi, peraltro molto attiva nei giorni scorsi in Parlamento sulla questione Banca d’Italia?
Nessuno dubita che le cause delle assenze vadano ricercate proprio nell’ordine del giorno del Consiglio: la conferma del governatore Ignazio Visco al termine del noto e prolungato scontro che ha opposto il premier Gentiloni — e con lui, appena dietro le quinte, il presidente della Repubblica — al segretario del Pd, Renzi. In altre parole ora sappiamo che esistono alcuni ministri i quali in coscienza ritengono di non poter aderire all’indicazione del loro premier, abbandonandolo al suo destino in uno dei passaggi più delicati della vita del governo. Può accadere che si registri un dissenso politico all’interno del gabinetto. Ma quando è di tale rilevanza, si suppone che i ministri interessati vogliano rimettere il mandato, anziché annunciare precedenti impegni. L’anomalia sta dunque in questo: che il Pd formalmente sostiene Gentiloni, ma la corrente “renziana” egemone, una sorta di partito nel partito, va in un’altra direzione.
Secondo punto, altrettanto e forse più singolare. Il presidente del Senato, Grasso, dichiara di lasciare il Pd e di iscriversi al gruppo Misto. Da tempo non si riconosce più nel Pd — quindi nel partito di Renzi — per ragioni “di merito e di metodo”. Qui è inevitabile rammentare un precedente storico. Nel 1953 l’allora presidente del Senato, Paratore, lasciò il suo scranno per protestare contro la riforma elettorale maggioritaria che gli oppositori chiameranno “legge truffa”. Era l’Italia di De Gasperi, alquanto diversa dall’attuale, ma Paratore non esitò a portare alle estreme conseguenze il suo disaccordo. La legge fu poi approvata a Palazzo Madama dopo l’elezione del successore, Meuccio Ruini.
All’epoca era irrilevante quale fosse il gruppo politico di appartenenza della seconda carica dello Stato. Si considerava che la neutralità al servizio delle istituzioni fosse il solo valore meritevole di attenzione. Perciò Paratore si dimise da presidente del Senato quando ritenne di non poter più svolgere il suo mandato. Circa 65 anni dopo, vediamo che Grasso lascia il Pd e rimane a presiedere il Senato. Egli si allontana dal partito che lo ha eletto, su cui riversa accuse di fuoco, ma lo fa non prima dell’approvazione della legge elettorale — era noto il suo dissenso sul ricorso ripetuto ai voti di fiducia — , bensì alcuni giorni dopo. C’è da domandarsi cosa sarebbe accaduto se Grasso si fosse comportato come Paratore e si fosse dimesso dalla presidenza del Senato quando il governo ha chiesto la fiducia. Quando cioè — secondo il suo punto di vista — è partito l’attacco del Pd alle istituzioni. Probabilmente il cosiddetto “Rosatellum” non sarebbe passato oppure i tempi si sarebbero allungati, riaprendo il dibattito. Viceversa, la legge è stata approvata e Grasso continua a presiedere il Senato. L’ex magistrato si è limitato a uscire dal Pd, gesto non privo di conseguenze che prelude a un suo impegno più diretto nell’attività politica. Ma è appunto un gesto destinato a trovare orecchie attente solo all’interno dei palazzi romani: i cittadini elettori probabilmente ignoravano che la seconda carica dello Stato fosse ancora così immersa nella vita di partito. Così come adesso si domandano quale beneficio possa venire alle istituzioni se il presidente del Senato, pacificato nella sua coscienza di “ragazzo di sinistra”, trasmigra dal Pd al gruppo Misto.