Repubblica 27.10.17
In carcere prime nozze gay: in cella insieme
Roma, unione civile tra detenute. Il ministero: vivevano già così, sarebbe cattiveria separarle
di Enrico Bellavia Maria Elena Vincenzi
ROMA.
Camilla ha 25 anni. Ieri mattina si è svegliata, si è fatta fare le
treccine ai capelli, ha messo un filo di trucco, e indossato il suo
vestito preferito, di un rosa pallido. Adriana, coetanea, quando ha
aperto gli occhi era felice. Ha messo i pantaloni e un gilet, il trucco
no, non fa per lei. Camilla e Adriana ieri mattina si sono sposate nella
casa circondariale di Rebibbia, dove sono entrambe detenute per
questioni di droga. A celebrare l’unione il vicesindaco di Roma Daniele
Frongia, che ha un passato da volontario nelle carceri. Un amore nato
dietro alle sbarre: Camilla e Adriana condividevano la cella con altre
recluse. Sono diventate da subito amiche e poi, pian piano, con il
passare del tempo, è nato qualcosa in più. Adriana, di origini polacche,
sapeva di essere omosessuale quando è entrata in carcere, lasciandosi
alle spalle una storia che a sentire i genitori, agricoltori stabilitisi
nel Lazio, è all’origine dei suoi guai. La sua pena finirà l’anno
prossimo, ma i giorni di reclusione che ancora ha davanti, da ieri,
saranno più felici. Per lei e per i suoi genitori che ieri hanno voluto
essere presenti, portando le fedi con incisi i nomi delle ragazze.
Camilla, sudamericana, invece, non aveva mai avuto un fidanzato, ma non
sapeva il perché. Però, poco a poco ha sentito nascere un sentimento per
l’amica alla quale presto ha dato il nome di amore. Resterà a Rebibbia
fino al 2019, anche se ormai da qualche tempo esce per lavorare. Il loro
comportamento esemplare in carcere è stato uno dei motivi che hanno
indotto la direttrice, gli psicologi e gli educatori, a sostenere la
loro storia d’amore e ad aiutarle a coronare il loro sogno.
È
stata una festa. Con tanto di fiori, regali, bomboniere e torta nuziale
con una ventina di invitate del braccio femminile, le agenti, le
operatrici e la direttrice . Una cosa quasi normale se non fosse che,
invece di tornare a casa o partire per il viaggio di nozze, ieri sera si
sono ritrovate dove tutto è iniziato. In quella gabbia in cui hanno
trovato la loro libertà.
È la prima volta che due detenute si
uniscono civilmente in carcere e che possono vivere sotto lo stesso
tetto. D’altronde condividevano la cella prima, separarle ora, spiegano
fonti del ministero di via Arenula, sarebbe una cattiveria inutile e
immotivata.
Insomma Camilla e Adriana hanno precorso i tempi.
Proprio quando si è aperto il dibattito, anche in tema di riforma
dell’ordinamento penitenziario, sull’affettività dei detenuti: il
progetto già in fase avanzata affronta la questione degli incontri tra
persone unite o sposate, una delle quali sia detenuta. Al ministero si
sta valutando di creare degli ambienti nelle strutture penitenziarie per
consentire momenti di intimità.
La vicenda a lieto fine di
Camilla e Adriana apre un fronte ulteriore nelle carceri, dove le
sezioni sono rigidamente separate per genere. Ponendo al legislatore un
orizzonte nuovo che la stessa norma sulle unioni civili impone. Se
l’unione fosse stata tra eterosessuali la separazione sarebbe
inevitabilmente avvenuta un minuto dopo il sì. Per loro invece la cella
si è trasformata nella prima casa.