giovedì 26 ottobre 2017

Repubblica 26.10.17
Il record del gaffeur
di Sebastiano Messina

SOLO Claudio Lotito poteva riuscire nella non facile impresa di trasformare uno sciagurato episodio di antisemitismo in una scena grottesca da cinepanettone, in una sequela di gaffe, di equivoci e di pasticci che sembra il copione di una commedia pop degli anni Ottanta. E quando lo ascolti, ti domandi se quella è davvero la voce di uno che da 13 anni è presidente di una delle due squadre della Capitale, perché a volte hai l’insopprimibile sensazione di sentire il tono di Diego Abatantuono, le battute di Lino Banfi e la voce di Alvaro Vitali mentre lui cerca di riparare un pasticcio con una toppa peggiore del buco.
La scena madre, certo, è quella di lui che va alla Sinagoga per porgere le scuse della Lazio, e quando si viene a sapere che prima di arrivare ha detto «Famo ‘sta sceneggiata» fa partire una smentita, senza neanche sospettare che qualcuno ha catturato quella gaffe epica con il registratore. E così si viene a sapere anche cosa pensa davvero lui della comunità ebraica romana: «Er vice rabbino ce sarà? Solo il rabbino c’è? Non valgono un cazzo questi. Hai capito come stiamo? A New York c’hanno er rabbino, er vice rabbino...».
Il prode Lotito dunque pensava di chiudere il caso facendo «una sceneggiata», con una corona di fiori su cui c’era scritto a penna «Hai fratelli ebrei, da Claudio », con un’acca aggiunta di buon peso. Un altro si sarebbe fermato qui. Non Lotito. Il quale, intervistato da Matrix per raccontare «la sceneggiata», ha tenuto a precisare un punto: «Sono andato in moschea, ma non per chiedere scusa». È probabile, o almeno è sperabile, che qualcuno gli abbia spiegato che confondere una sinagoga con una moschea è peggio che dare del laziale a un romanista, per rimanere nell’unico mondo che lui conosce bene. E tutto questo per rimediare alla bravata, dice lui, «di quindici scemi che probabilmente non sanno neanche chi è Anna Frank». Lui lo sa, rivela, perché alle medie gli fecero leggere il suo diario. Il contesto però non gli dev’essere chiarissimo, visto che lunedì sera, a chi gli suggeriva di portare i fiori della Lazio alla lapide dei deportati, «quelli del 16 ottobre», lui ha risposto: «Ma quale 16 ottobre, domani è il 24 ottobre!». L’amara verità di questa commedia alla romana è che nessuno si meraviglia più, se lui dice «basta con l’antirazzismo e l’antisemitismo», due opposti accomunati a un «anti», perché il presidente della Lazio ha abituato i suoi tifosi a dire qualunque cosa, salvo smentita del giorno dopo: qui Lotito e qui lo nego.