domenica 22 ottobre 2017

Repubblica 22.10.17
Massimo Cacciari.
L’ex sindaco di Venezia, che insegna a Milano: “Non vado, questa consultazione è la campagna elettorale della Lega”
“Una risposta anacronistica a una domanda giusta è in gioco l’unità del Paese”
intervista di Giampaolo Visetti

VENEZIA. «Il futuro sarà dominato dagli imperi, che stanno organizzando la globalizzazione. Staterelli e micro-regioni chiuse saranno fatti fuori, schiacciati nella morsa di nazionalismi e i secessionismi. Solo un patto politico reale per costruire gli Stati uniti d’Europa, fondati su Stati federali, può evitare che il cuore dell’Occidente si fermi. Temo che oggi non ci siano le condizioni».
Massimo Cacciari, filosofo e politico, è veneto ma insegna a Milano. Trent’anni fa, assieme a Miglio e Napolitano, aveva cominciato a porre il problema di un nuovo federalismo italiano e continentale. Non è stato ascoltato e oggi, nella sua casa di Venezia, assiste alla Brexit, al dramma catalano e ai referendum autonomisti di Veneto e Lombardia. «Non voto – dice – non ho più tempo per atti inutili. Ma ciò non significa che la domanda di maggiore autonomia non sia sacrosanta. Il problema è che viene declinata in modo distorto».
Perché gli Stati nazionali faticano sempre di più a rappresentare i cittadini?
«Da una parte subiscono la pressione delle potenze globali, economiche e tecnologiche. Dall’altra, smarrendo potere e autorevolezza, non garantiscono efficienza a istituzioni locali autoreferenziali, rinvigorite da crisi e paure. Così sono loro a pagare il conto del disagio collettivo».
L’autonomia è il paradiso?
«No, ma rifugiarsi in casa quando piove è logico e legittimo. Il problema è che le forze autonomiste sono le prime a tradire l’autonomia. Presentarla in modo manipolato e falso è un colossale e rivelatore errore».
Trattenere in loco le tasse garantisce una spesa pubblica più efficace?
«No. La differenza tra Alto Adige e Sicilia è la prova. Conta il livello della classe dirigente, ma il punto essenziale è che nessuna autonomia locale può tenere per sé il disavanzo fiscale. Se succede, salta lo Stato. Con questa logica ognuno è legittimato a non pagare le tasse e ad arrangiarsi. Le nazioni si fondano sulla solidarietà dei loro popoli. Più è forte più prospera la comunità. Se non c’è, non c’è più il Paese».
I referendum di Veneto e Lombardia possono minare la sovranità nazionale?
«Il rischio c’è. La distanza tra Nord e Sud si allarga e non è più sostenibile. Non può crescere uno Stato in cui qualcuno solo dà e qualcuno solo prende. Il primo si sente truffato, il secondo soffoca vivendo di rendita. La questione settentrionale c’è e va affrontata prima che sia troppo tardi: ma non in questo modo».
Il voto popolare serve ad accelerare la trattativa Stato- Regioni, già prevista dalla Costituzione?
«No. Questi referendum sono la campagna elettorale della Lega e del centrodestra, di Maroni e di Zaia. Alla fine l’ha capito anche Berlusconi».
Un’alta affluenza alle urne sarà un campanello d’allarme anche per il Governo?
«Sono trent’anni che la campana dell’autonomia suona a distesa, sotto governi di ogni bandiera. Non l’ha ascoltata e non l’ascolterà nessuno. Certo, se non vota almeno il 50%, non si può parlare nemmeno di sondaggio».
La Lega, con questi referendum, abbandona ufficialmente la secessione padana per l’autonomia italiana: è una sconfitta o una prova di saggezza?
«Tra confusione e ambiguità la Lega di Salvini cerca di diventare un normale partito di destra che cavalca paura e nostalgia. Il suo autonomismo resta solo propaganda».
Il centrosinistra è diviso tra sì, no e astensione: perché sui temi cruciali non emerge una posizione unitaria?
«E’ l’ennesima figuraccia. Non c’è una visione strategica comune, partiti e capi vivono da separati in casa. Fino a quando la casa non crolla».
Chiesa e imprese sostengono sì e referendum: perché?
«Boh, non l’ho capito. Solidarietà e sfide sui mercati globali suggeriscono analisi più profonde. Forse pensano che sostenere ufficialmente l’autonomia sia il modo per rendere evidente che questo Stato non riesce più ad aiutare la gente a vivere. In privato però sento posizioni più articolate ».
Come si potrebbe garantire maggiore autonomia locale dentro Stati nazionali più moderni?
«All’Italia serve una riforma costituzionale in senso federalista. Si è provato invano a farla per tre volte. Venticinque anni fa si poteva sperare in una fase costituente, oggi suona politicamente ridicolo. Mancano le condizioni, a partire dalla cultura della classe dirigente. I partiti locali si legittimano con la propaganda autonomista, potere e burocrazia centralista resistono vivacchiando ».
Più autonomia a Veneto e Lombardia può essere un primo passo?
«No, non si può partire togliendo soldi allo Stato per fare da soli cose locali. Dobbiamo pensare a macroregioni diverse, anche trasnazionali, dentro la cornice di aggiornati Stati uniti d’Europa. Non ha senso pensare che, così come sono, Veneto e Lombardia, grazie all’autonomia, in futuro possano navigare nell’oceano globalizzato. La domanda è giustificata, la risposta è anacronistica».
Siamo a fine legislatura: davanti ad affluenza massiccia e scontato trionfo del sì, Roma concederà più competenze e più finanziamenti a Veneto e Lombardia?
«Neanche per sogno e non perché scade il parlamento. La realtà è che mancano le condizioni. Se Veneto e Lombardia, assieme all’Emilia Romagna e poi magari anche con Puglia e Piemonte, trattenessero l’avanzo fiscale, imploderebbe lo Stato. Europa e mercati lo sanno: per questo sono preoccupati dai toni pubblicamente dimessi di Zaia e Maroni. Certe dinamiche, acceso l’innesco, tendono a sfuggire di mano».