Repubblica 20.10.17
Uno strappo con l’Europa
di Stefano Folli
COMUNQUE
vada a finire, il conflitto sul governatore della Banca d’Italia è
destinato a lasciare dietro di sé il solito panorama di macerie
istituzionali. Ne viene intaccato il prestigio di Palazzo Koch e
soprattutto ne esce indebolito il legame essenziale fra la nostra banca
centrale e la Bce. Sarebbe infatti sbagliato credere che tutta la
vicenda si svolga e si esaurisca a Roma, secondo i ritmi di un eterno
provincialismo. L’interlocutore più importante, benché nell’ombra, è
invece a Francoforte e non ci vuole troppa fantasia per capirlo.
L’odierna Banca d’Italia è un tassello del complesso equilibrio che
ruota intorno alla Banca centrale europea, con il suo presidente Mario
Draghi. Per cui la nomina del governatore ha molto a che fare con
l’immagine dell’Italia in Europa e con l’affidabilità della nostra
classe politica agli occhi dei partner.
Questa realtà può non
piacere, ma i fatti dimostrano che il nostro Paese ha ricavato non pochi
vantaggi negli anni recenti dall’esser rimasto dentro tale equilibrio.
Per cui se c’era un tema da sottrarre al giochino della
politica-spettacolo in perenne campagna elettorale, era proprio
l’istituto di via Nazionale.
È successo esattamente il contrario.
Il partito di maggioranza, il Pd di Renzi, ha deciso di condizionare il
premier Gentiloni e con lui il presidente della Repubblica, le due
figure depositarie del potere di nomina del governatore. Se non è
un’intimidazione, poco ci manca; ma viene dal partito che ha in mano le
chiavi del governo e che non si fa scrupolo di rammentarlo a tutti. Del
resto, il senso delle istituzioni è come il coraggio di Don Abbondio: se
uno non lo possiede, non può darselo.
Quel che è certo, la
mozione parlamentare non era un innocuo documento per esprimere riserve
su come Bankitalia ha affrontato le crisi bancarie. Era ed è uno
strumento politico brandito con determinazione per ribaltare pesi e
contrappesi fra Palazzo Chigi e il Quirinale. Il risultato è quello
voluto: gelo fra i due palazzi, Gentiloni di nuovo colpito nella sua
credibilità e nel profilo che egli tenta di accreditare di se stesso. Il
capo dello Stato offeso ma impotente di fronte alla spregiudicatezza
dell’operazione: senza dubbio molto esposto personalmente nella materia
più delicata. La commissione d’inchiesta più che mai un’incognita. E
Renzi che dal treno può dire: «Io sto con i risparmiatori, non con i
banchieri», convinto di aver esorcizzato il fantasma che lo infastidisce
forse al di là delle sue colpe, quella Banca Etruria che assomiglia
alla foresta in movimento di Macbeth. Come si può pensare adesso che la
nomina del governatore avvenga in una cornice di serenità? Gentiloni
garantisce che la scelta si farà salvaguardando «l’autonomia
dell’istituto ». Nessun dubbio sulle buone intenzioni del presidente del
Consiglio, ma lo scetticismo è doveroso. Fra la stabilità del governo e
un’autentica indipendenza nella scelta, il premier ha scelto la prima
opzione. Forse non poteva fare diversamente. Basta vedere come ha chiuso
il caso Boschi, un affare molto scivoloso su cui si misurava il
rapporto fra lui e l’azionista di maggioranza dell’esecutivo. Renzi
aveva scandito che «il governo e Gentiloni sapevano della mozione » e il
premier ha risposto: sì, è vero. È talmente vero che la sottosegretaria
Boschi, ha voluto precisare, gode della sua piena fiducia. Eppure Maria
Elena Boschi, il cui compito dovrebbe essere quello di raccordare e
coordinare Palazzo Chigi con i ministeri, in primo luogo l’Economia,
nonché di fare da ponte con il Quirinale per evitare fraintendimenti sui
vari atti, ebbene Boschi è sospettata di aver agito con un margine di
autonomia — lei sì — eccessivo rispetto al suo governo e al suo premier.
Se
lo ha fatto, è per la buona ragione che ritiene di dover rispondere a
un potere più forte di quello esercitato da Gentiloni e Mattarella.
Naturalmente la fiducia confermata dal premier taglia corto alle
speculazioni. Ma non su un punto grave e irrisolto: come può la
sottosegretaria Boschi occuparsi di banche quando lei stessa in passato
aveva riconosciuto l’esistenza di un potenziale e grave conflitto
d’interessi? Per ovvie ragioni, la foresta di Macbeth riguarda lei
persino più di quanto non coinvolga Renzi. Eppure, incredibilmente, la
sottosegretaria non sente il bisogno di fare il fatidico passo indietro
quando si parla di banche. Non solo non lo fa, ma è protagonista della
commedia degli equivoci che coinvolge tutti i palazzi romani e che
danneggia non poco il Paese.
Ecco perché la questione Visco lascia
una grande quantità di macerie. Gli strascichi dureranno a lungo,
proiettandosi sulla prossima legislatura, quando Mattarella sarà
chiamato a gestire un passaggio politico che si prevede complesso. Tale
da richiedere al capo dello Stato tutta la consapevolezza di un ruolo
istituzionale che resta più che mai centrale nella crisi italiana.