Repubblica 1.10.17
Maurizio Landini
Di Maio parla con arroganza
“Un solo governo è intervenuto dall’alto Ed era quello del regime fascista”
di Monica Rubino
ROMA.
«Penso che frequentare Cernobbio gli abbia fatto male, l’idea della
politica che riforma i sindacati è autoritaria e contro i principi della
Costituzione». Per Maurizio Landini, segretario nazionale della Cgil,
Luigi Di Maio non sa di che cosa parla.
Quello del leader del M5S per lei è un attacco fuori luogo?
«In
Italia c’è la libertà sindacale sancita dalla Carta costituzionale e
non a caso esistono tante organizzazioni. Sono le lavoratrici e i
lavoratori che devono essere messi nelle condizioni di riformare i loro
sindacati. Non sono i governi a doverlo fare. È già successo una volta
in passato, ma eravamo nel regime fascista. Se nel nostro Paese c’è la
democrazia è anche grazie ai lavoratori e alle organizzazioni sindacali.
Di Maio lo tenga a mente».
Il candidato premier del M5S vi accusa anche di essere pagati dallo Stato.
«Lui
non sa che i sindacati non sono sostenuti dai soldi pubblici ma dal
contributo volontario di chi decide di iscriversi. E non sa nemmeno che
la Cgil ha depositato in Parlamento due anni fa la “Carta dei diritti”,
che non solo chiede di conquistare un nuovo statuto per tutti i
lavoratori, compresi quelli autonomi. Ma anche di riformare la
rappresentanza, per mettere gli iscritti nelle condizioni di votare gli
accordi, di eleggere i delegati, di avere più trasparenza nella
gestione. Che ci sia da riformare i sindacati la Cgil è la prima a
dirlo. Non abbiamo certo bisogno che Di Maio ci venga a spiegare come
fare».
Le sembra strano che parole così dure vengano da un politico nato a Pomigliano D’Arco, storica sede dell’Alfasud?
«Si,
trovo davvero singolare che lui, originario di una città dove
un’azienda come la Fiat dal 2010 ha perso cause in tribunale per le
discriminazioni sugli iscritti alla Cgil, non abbia mai speso una parola
in merito. Se aveva dei dubbi sui sindacati, faceva prima a parlare con
i lavoratori di Pomigliano anziché andare a Cernobbio».
Come si può garantire l’autonomia dei sindacati e aiutarli a riformarsi?
«Innanzitutto
non facendo leggi come quelle varate dai governi di destra prima e di
centrosinistra poi, come il Jobs act, che hanno ridotto i diritti dei
lavoratori, favorito la frantumazione sociale e messo in discussione la
rappresentanza collettiva. Qualche mese fa, quando ero ancora alla Fiom,
invitammo Di Maio a venire alla nostra festa nazionale. I suoi
collaboratori ci fecero sapere che non era interessato. Così come noi
rispettiamo le forze politiche, allo stesso modo pretendiamo il loro
rispetto».
Che ne pensa della “manovra shock” proposta da Di Maio per creare occupazione?
«La
decontribuzione a pioggia non è un’idea particolarmente nuova e nemmeno
molto diversa da quello che ha già fatto Matteo Renzi. Non si crea
lavoro diminuendone il costo, ma colmando il ritardo negli investimenti
pubblici e privati, nell’innovazione, nella ricerca e nello sviluppo,
nella riqualificazione del sistema di formazione. Bisognerebbe puntare
anche su forme di riduzione dell’orario».
Cosa intende il vicepresidente della Camera quando parla di “smart nation”?
«Un
operaio una volta in un’assemblea mi disse: “Da quando si parla in
inglese, tutti i diritti che avevo non ce li ho più”. È fuor di dubbio
che siamo in una fase di cambiamento e che le tecnologie digitali si
stiano intrecciando con l’automazione, ridisegnando il sistema
produttivo, la mobilità e la comunicazione. Ma le tecnologie non sono
neutrali, dipende come si usano e a quale fine. E a maggior ragione c’è
bisogno di un più grande coinvolgimento dei lavoratori per ripensare un
modello di produzione più sostenibile».