Repubblica 19.10.17
La paura del Banksy cinese “Ora il gioco si fa pericoloso”
Badiucao, il disegnatore misterioso in fuga dal regime
Il sermone di Xi Ping. 203 minuti per negare un futuro democratico
intervista di Angelo Aquaro
PECHINO
GLI CHIEDI se ha paura, e lo senti anche attraverso Skype che la voce
finora serena e perfino allegra si increspa. «Sì», dice abbozzando una
risata troppo nervosa Badiucao, il Banksy cinese, il disegnatore
misterioso in fuga dal regime. «Più vai avanti nel tuo lavoro e più ti
accorgi che stai alzando l’asticella: e il gioco si fa più pericoloso».
Oggi, a Washington, la presidente del comitato per il Nobel, Berit
Reiss-Andersen, ricorderà Liu Xiaobo e chiederà la liberazione della
vedova, Liu Xia, nella cerimonia organizzata da Human Rights Watch
proprio in concomitanza del Congresso, benedetta dagli eroi invisi a
Pechino: dal Dalai Lama a Yang Jianli, l’ex leader degli studenti di
Tiananmen. Ma se tanti ragazzi di tutto il mondo si sono avvicinati alla
storia del Nobel lasciato morire in prigione è anche grazie all’ultima
asticella alzata da questo dissidente della matita: quel ritratto che è
diventato subito virale su Internet.
Liu Xiaobo era scomparso da poche ore e già il suo disegno correva sul web.
«C’è
la denuncia che richiede tempo, studio, progetto. La serie “Chi è Liu
Xia”, per esempio, lanciata in questi giorni con Amnesty International,
ritrae la vedova di Liu Xiaobo associata alle donne famose della
pittura, da Monna Lisa alla Ragazza con l’Orecchino di Perla. Ma poi c’è
la denuncia immediata, la satira che risponde a un’emergenza. Come
quando bisogna reagire alle catastrofi, ai terremoti: a un disastro come
la morte di Liu Xiaobo».
Xi Jinping inaugura il Congresso e
annuncia la nascita di una “nuova era”: ma sotto il suo primo mandato le
libertà si sono sempre più ristrette. Spera anche lei, come tanti, che
consolidato il potere possa “riaprire” il Paese e allentare la morsa?
«Certo
che sì: e nominarsi finalmente imperatore. Ma andiamo: è sempre la
stessa storia che il regime continua a rivenderci. È successo con Jang
Zemin, è successo con Hu Jintao. Dicono: sta consolidando il potere per
dedicarsi alle riforme. Ma poi? Non sarà certo Xi Jinping a
rappresentare l’eccezione: vista la situazione del Paese».
Ma come: in un mondo ancora in crisi la Cina resta il motore che gira meglio.
«L’inquinamento.
L’invecchiamento della società che ha costretto a cancellare la
politica del figlio unico: anzi addirittura a spingere a fare più
bambini. E in questo clima come puoi aspettarti le riforme? Non credo
proprio che l’Imperatore Xi si possa trasformare, d’incanto, nel
presidente Washington».
La Cina non cambierà?
«Sicuramente
il cambiamento non arriverà dall’alto. Spero dal basso, perché perfino
la classe media, al di là delle propagande del regime, fatica. Ma non
sono ottimista. Per troppo tempo abbiamo pensato che il cambiamento
sarebbe arrivato inevitabile con l’apertura al mercato e alle altre
culture. Si diceva: i ragazzi che vanno a studiare fuori, i
professionisti che assaporano certe libertà, torneranno e vorranno
cambiare le cose anche da noi».
Perché non è successo.
«Nasce
tutto con il terrorismo: ha portato alla paura dell’altro, alla
rinascita dei nazionalismi e dei populismi, guardate il ritorno dei
suprematisti bianchi in America. Lo vedo anche qui, dove vivo ora, in
Australia, il razzismo scatenato».
Sta dicendo, come Ai Weiwei, che è anche colpa dell’Occidente?
«Sto
dicendo che ci sentiamo sempre meno sicuri, guardati come diversi. E
qui interviene la madrepatria: affidatevi a noi, vi proteggiamo noi. I
giovani che vanno a studiare all’estero, oggi, vivono in comunità chiuse
e sempre più controllate da Pechino. È un lavaggio del cervello: lo
dimostra il successo, anche tra i cinesi per il mondo, di un film
nazionalista come Wolf Warrior 2. La Cina si riscopre eroica e rialza la
testa: volgendo però lo sguardo dove il regime vuole».
La paragonano a Banksy: anche lui senza volto, anche lui anti-sistema.
«Mi
piace, lo capisco, anche se i miei miti sono altri: Ai Waiwei appunto,
che ho conosciuto, e mi ha anche dato un paio di dritte. Banksy ha
creato questo mito giocando sull’artista misterioso, che può essere
tutti o nessuno: fa audience. Funziona anche per me: peccato che io non
l’abbia scelto. Lui avrà paura, che so, di essere pizzicato dalla
polizia inglese: certo non di essere picchiato, o di sparire per giorni o
per sempre. Io mi confronto con gente capace di tutto: e devo
proteggere la mia famiglia rimasta laggiù ».
Che cosa le dà più forza?
«Ho paura, ma so di fare la cosa giusta: soprattutto per i tanti, troppi artisti che in Cina rischiano ben più di me».
E che cosa le manca di più?
«Risponderò
come direbbero tutti i cinesi: il cibo… La verità è che quando ti lasci
un mondo alle spalle, la cosa che ti fa più paura, come artista, è
l’ispirazione. Il mio lavoro è politico: ma sarò ancora capace di
esprimere la vera Cina? Oppure sto combattendo per una causa che ormai
esiste solo nella mia immaginazione?».
PECHINO. Il
sogno cinese di Xi Jinping è un incubo da 203 minuti per Jiang Zemin,
l’ex leaderissimo che a 91 anni resta ostaggio sul palco del Politburo, e
durante l’interminabile discorso non smette di guardare disperato
l’orologio, sbadiglia, si distrae, se potesse schiaccerebbe un pisolo.
Hu Jintao, al giro di boa del mid term, il primo stadio dei 10 anni di
governo stabiliti per tradizione, aveva tediato i suoi simili per 90
minuti appena. E invece il riconfermando segretario generale, presidente
della Repubblica, capo delle forze armate e titolare di almeno altri
otto titoli onorifici, Xi Jinping, legge le 66 pagine del discorso senza
un’interruzione, frenando solo una volta, dopo le prime due ore e
mezzo, e trattenendo il respiro per una trentina di secondi. Finito? No,
falso allarme, ci pensa il commesso della Grande Sala del Popolo a
raggiungerlo sul podio per cambiargli il bicchiere: acqua calda o te? I
2.280 delegati seguono in religioso, cioè laico silenzio, scandito solo
dallo sfrusciare all’unisono delle pagine del discorso che alla stampa
verrà distribuito alla fine: per evitare il fuggi fuggi? Non è l’unica
cattiveria fatta ai giornalisti: con che coraggio, per esempio, il
partito ha vietato, nero su bianco, l’uso degli stick per i selfie? E
non è un po’ troppo, mentre Xi dice che la Cina «non copierà mai» i
sistemi politici stranieri — di fatto negando la democrazia “una testa
un voto” — sottolineare in un comunicato la regola «un giornalista, un
telefonino», non un cellulare di più? Perfino Robert Lawrence Kuhn, il
prof americano commentatore di CCTV, la tv di Stato, abbandona la nave
prima che capitan Xi raggiunga l’approdo, svicolando dalla platea
stampa. Eppure il discorso piace nei posti più impensati: a Pyongyang,
per esempio, dove invece di spedire un missile o regalare un test
nucleare, come ha fatto durante gli ultimi appuntamenti internazionali,
Kim Jong-un manda gli auguri «al fraterno popolo cinese». Che
pazientemente sopporta. Il disappunto per il discorso troppo lungo,
velatissimo, si insegue però sul web, che pure il nuovo Mao promette di
mantenere «pulito» — leggi “imbavagliato”. «Oh mio dio, 3 e ore e
mezzo!», dice un post su Weibo, il Facebook di qui. Eppure l’hashtag
#19esimo congresso spacca per tutta la Cina: la France Press conta 1
miliardo e 190mila visualizzazioni, praticamente l’intero Impero, 1
miliardo e 450milioni di anime. Sì, il sogno cinese è diventato davvero
un incubo: si addormenti chi può.
( a. aq.)