mercoledì 18 ottobre 2017

Repubblica 18.10.17
La dignità della vita ferma in Parlamento
Elena Cattaneo Mario Monti Renzo Piano Carlo Rubbia

DA PIÙ di cinque mesi il disegno di legge sul “testamento biologico” è impantanato nella Commissione Sanità del Senato. Nonostante tutti i sondaggi fatti sul tema dimostrino, da almeno un decennio, il consenso di un’amplissima maggioranza di italiani, tremila emendamenti (in massima parte ostruzionistici) e discussioni infinite ostacolano la definitiva approvazione di una legge che non è di destra, di centro o di sinistra.
SENZA distinguo, dà valore alla volontà di ciascuno, tutela la dignità di tutti. Il cosiddetto testamento biologico non rappresenta più, da tempo, la frontiera “divisiva” dei “nuovi” diritti civili. Non lo è più da ventisette anni negli Stati Uniti, dove il dibattito sul Living will è iniziato quasi quarant’anni fa nelle Corti dei vari Stati, nella Corte suprema e nella società civile, per poi culminare con l’adozione del
Patient Self Determination Act del 1990; non lo è più neanche, almeno da dieci anni, nella maggior parte dei Paesi europei, dove ormai il valore giuridico vincolante di un testamento biologico fa parte del corpus dei diritti civili minimi del cittadino.
In Italia, benché se ne dibatta da decenni, il tema sembra condannato ad essere gestito nei processi, dai tribunali, dai singoli magistrati, in continua supplenza di una politica incapace di fare quel che le è proprio, il legislatore. La nazione culla del diritto non riesce a dare ai suoi cittadini una cornice giuridica certa in cui poter esercitare le proprie scelte, liberamente e responsabilmente, su una materia personalissima di libertà individuale, nonostante, come osservava il Presidente emerito Giorgio Napolitano nel maggio 2017, il provvedimento in discussione «risponda a sentimenti e sensibilità ormai prevalenti nella nostra società».
Mentre il resto del mondo sviluppato dibatte di ulteriori forme di disciplina della materia, il nostro Paese resta orfano di quella che è ormai una soglia minima di regolamentazione sul diritto alle disposizioni anticipate di trattamento. Non è più ammissibile, dopo i casi Englaro, Welby, Nuvoli e migliaia di altri meno noti, ma altrettanto degni di considerazione, che i cittadini italiani non possano scegliere, facendo affidamento sulla chiarezza di una legge, come autodeterminarsi in una questione fondamentale, letteralmente di vita e di morte, che riguarda ognuno di noi.
Quella del fine vita è una questione di libertà, di rispetto della volontà, di dignità del vivere e del morire che dev’essere lasciata quanto più possibile alla scelta di ciascuno. Come Senatori a vita, chiamati ad esercitare un ruolo il più possibile libero da ogni condizionamento, appartenenza o calcolo, crediamo che questo Parlamento onorerebbe il Paese se, adottando in Senato senza modifiche il testo già approvato dalla Camera, trattasse i suoi cittadini da adulti, lasciando loro a fine legislatura, come un prezioso legato, il riconoscimento di questo spazio incomprimibile di libertà e responsabilità.
Gli autori sono senatori a vita