lunedì 16 ottobre 2017

Repubblica 16.10.17
Le emergenze del Paese dimenticate dal governo
di Massimo Giannini

IL ROSATELLUM a colpi di fiducia è l’atto di forza di una partitocrazia debole. Ma soprattutto è il grido di battaglia di un centrosinistra afono. Mentre in Parlamento impazza la lotteria dei franchi tiratori su una brutta legge elettorale, nel Paese accadono cose che chiamerebbero riformisti e progressisti a una comune assunzione di responsabilità. E invece tacciono, balbettano, parlano d’altro. Di fronte a fatti che incidono sulla carne viva delle persone, dal lavoro alla scuola, dai vincoli europei alle tasse. E dunque sulla frontiera lungo la quale un centrosinistra di governo dovrebbe ripensare se stesso, coniugando protezione e innovazione.
La manovra economica all’esame del Consiglio dei ministri è lo stress test di ciò che ci aspetta in Europa. Gentiloni annuncia «una legge di stabilità per la crescita»: gli stanziamenti previsti saranno solo 5 miliardi. Assicura «una manovra per il lavoro dei giovani»: i fondi per la decontribuzione dei neo-assunti saranno solo 338 milioni. Ma la questione va al di là delle misure specifiche e dei saldi contabili. Il prossimo 9 dicembre il Parlamento europeo voterà sull’inserimento definitivo del Fiscal compact (per ora solo un Trattato intergovernativo) nell’ordinamento dell’Unione europea. Come voteranno i democratici italiani, che a Strasburgo hanno già dato via libera a due risoluzioni, e che a Roma hanno già approvato il pareggio di bilancio in Costituzione? L’unico ad esprimersi finora è stato il dem Roberto Gualtieri, presidente della Commissione economia, che ha anticipato «il veto dell’Italia», in assenza di «profondi cambiamenti». Quali sarebbero questi «profondi cambiamenti»? L’abolizione del Fiscal compact e il ritorno al solo parametro del 3% nel rapporto deficit/Pil, proposto da Renzi nel suo libro Avanti? E cosa succederebbe alle nostre richieste di “maggior flessibilità”, se l’Italia ponesse davvero il veto? Che stangate fiscali ci aspetterebbero, con due tranche di clausole di salvaguardia Iva ancora in sospeso da 11,4 miliardi nel 2019 e 19,2 miliardi nel 2020?
Il caso Ilva è un paradigma del moderno cortocircuito globale. Un’industria siderurgica ingrassata da uno statalismo senza limiti, saccheggiata da un capitalismo senza scrupoli, e infine abbandonata al miglior offerente straniero. In un Paese che sconta un tetto europeo alla produzione di acciaio da 6 milioni di tonnellate solo nell’impianto di Taranto, ma ne importa 20 tonnellate l’anno dalla Cina e dall’Iran. Nel giorno in cui i nuovi acquirenti di Arcelor- Mittal hanno disdetto unilateralmente gli accordi economici sulla riassunzione dei 9 mila dipendenti, solo Carlo Calenda ha fatto sentire la sua voce, mettendo alla porta gli indiani. In compenso, mentre 14 mila lavoratori scendevano in sciopero, la sottosegretaria Maria Elena Boschi non trovava di meglio da fare che invocare parità retributiva tra uomini e donne nel calcio. Stefano Fassina si presentava al ministero, non si sa a che titolo, insieme alla delegazione sindacale. E domani Massimo D’Alema sarà a Taranto insieme a Sergio Cofferati, a difendere quel contratto di lavoro che nel ‘98, da premier, sbatteva in faccia all’allora segretario della Cgil. Possibile che nel resto del centrosinistra regni il silenzio?
Il caso degli studenti in piazza per protestare contro l’alternanza scuola-lavoro è un paradigma del velleitarismo fallimentare della pubblica istruzione. Uno strumento buono (efficace da anni in Paesi come la Germania) declinato male (cioè all’italiana). Poche risorse, scarsa preparazione del corpo insegnante, nessuna organizzazione a livello ministeriale. Risultato: dal 2015 ad oggi, 1,5 milioni di ragazzi coinvolti nelle 200/400 ore di alternanza, la maggior parte delle quali spese a servire ai banchi di McDonald’s, a rispondere nei call center, a piantonare musei. «Una piccola riforma utile, ma irresponsabilmente gestita»: non lo dice un pericoloso bolscevico, ma un esperto come Maurizio Ferrera. E dunque, se gli studenti protestano in settanta città italiane, il centrosinistra non ha nulla da dire. La sola cosa che indigna sono le uova e qualche fumogeno lanciato da un corteo milanese. Violenze e intemperanze vanno sempre condannate. Ma se l’alternanza scuola-lavoro si rivela una parentesi inutile e incoerente con il percorso formativo dei ragazzi (nella migliore delle ipotesi), o una forma di banale sfruttamento di manodopera (nella peggiore), non sarà il caso di ragionare anche su questo?
Nonno Berlusconi col casco dei pompieri tra i terremotati di Ischia promette «pensioni minime a mille euro», «cinema e treni gratis per gli anziani», «cure gratuite per i denti e gli occhi», «esenzione del bollo auto», e via delirando. Papà Di Battista con passeggino al seguito a Marino arringa le masse dicendo che «l’unico nemico del popolo italiano sono gli italiani stessi». Se questa è la minaccia, al Pd non basta autorappresentare se stesso come “argine al populismo”, banalizzando l’ottimo discorso di Walter Veltroni all’Eliseo come “argine al massimalismo”. Non basta la “retrotopia” ulivista di due giorni fa, se il riformismo non si misura con la realtà di oggi.