Repubblica 16.10.17
Amicizie pericolose
Così nell’Lsd si può leggere il destino dell’uomo moderno
Esce il carteggio tra Ernst Jünger e Albert Hofmann Argomento: le droghe e i loro euforici e terribili effetti
di Antonio Gnoli
Nel
vasto orizzonte dello stupore, due indiscusse personalità infransero
l’interdetto che condannava le droghe a mero strumento di schiavitù.
Erano Ernst Jünger e Albert Hofmann che per circa mezzo secolo tennero
un costante scambio epistolare sull’utilizzo delle droghe cogliendone i
pericoli ma al tempo stesso, e a certe condizioni, esaltandone la
potenza mitologica e la forza introspettiva (“LSD”, Giometti &
Antonello). Nelle lettere (la prima è del 1947, l’ultima del 1997) si
coglie una lenta e crescente cordialità destinata a trasformarsi in
amicizia. Hofmann vive in Svizzera. Più volte annuncia a Jünger, che
risiede
in Germania, di avergli spedito doni utili: una pipa, dei pantaloni
alla zuava, tè, burro, caffè. Jünger mostra di gradire e contraccambia
come può (la Germania del dopoguerra versa in condizioni di povertà).
Invia soprattutto libri e suggerisce qualche buona lettura. Sono curiosi
l’uno dell’altro e relativamente giovani. Jünger ha 52 anni. Hofmann,
che ne ha 41, è un chimico e lavora nei laboratori farmaceutici della
Sandoz. Per caso ha sintetizzato una sostanza destinata a imporsi con
successo nell’Occidente degli anni Sessanta.
Jünger ha una
biografia più complessa (e affascinante). È stato un eroe della Prima
Guerra Mondiale. Ha scritto libri fondamentali ( Nelle tempeste
d’acciaio e L’operaio, il primo attirerà lo sguardo ammirato di Hitler,
il secondo quello riconoscente di Heidegger) vive la disfatta del
nazismo da ufficiale della Wehrmacht a Parigi (anche gli avversari gli
riconoscono oltre allo scarso coinvolgimento con il regime, di aver
messo in salvo e protetto parte del patrimonio artistico francese).
Sostanzialmente è un aristocratico. Un ribelle dello spirito, un
“anarca” per usare l’espressione a lui più cara.
Non sono i soli a
sperimentare le droghe. Una lunga tradizione che affonda le proprie
radici nell’Ottocento di De Quincey e Baudelaire culminerà in una
generazione di scrittori e intellettuali che negli anni Venti e Trenta
del Novecento ne proverà e descriverà gli effetti. Tra essi Walter
Benjamin, Michel Leiris, Alfred Kubin, Gottfried Benn e lo stesso
Jünger. Il quale comunica a Hofmann che nella stesura del romanzo
Heliopolis, ha consultato psichiatri che studiano le relazioni tra
aberrazione mentale e sostanze tossiche.
Anche Hofmann sembra
molto interessato alla relazione tra malattia mentale e gli stadi di
alterazione provocati dall’acido lisergico. Tuttavia dubita che la
tossina della sostanza possa gettare l’uomo in una sorta di follia senza
ritorno. C’è in Hofmann, come in Jünger, la fiducia nel mondo antico e
nell’uso terapeutico che veniva fatto di certe bevande come il ciceone,
atte a scacciare gli spiriti maligni.
Jünger ha più volte provato
gli effetti della mescalina. Per sottolineare la pericolosità la
paragona a una “tigre” a fronte della quale l’Lsd – che egli assume
varie volte sia da solo che con Hofmann - è solo un gattino. Ne
circoscrive la potenza e ne ridimensiona la sacralità che l’altro gli
attribuisce. In realtà, quello di Hofmann, è un rapporto complesso con
l’acido lisergico. Rispondendo a Jünger che vuole essere aggiornato
sulle sue ricerche, scrive che gli «piacerebbe davvero capire da cosa
dipende il fatto che l’ebbrezza da Lsd possa trasformarsi in euforia con
un senso di felicità soprannaturale, o in una esperienza di terrore
indescrivibile ». Il “mio bambino”, come Hofmann chiama l’Lsd, può
diventare pericoloso. Provocare effetti indesiderati e negativi.
Ma
che cosa significa questo scambio di esperienze e di opinioni attorno
alle droghe? Per Hofmann, e in parte anche per Jünger, è un modo per
mettere a fuoco il destino dell’uomo moderno, che avrebbe
irrimediabilmente perso la facoltà di raccoglimento. Qualcosa di
profondamente inquinante è accaduta nell’ambito del comportamento umano.
«La tecnica sempre più perfetta della pubblicità, della
moltiplicazione, della stampa, della radio e del commercio, finisce»,
scrive Hofmann, «esattamente col sommergere la gente con immagini,
pensieri, conoscenze sempre nuove». Lungi dall’essere un progresso
auspicabile, ciò che accade è vissuto come la distrazione sistematica
dei propri compiti interiori; alla distruzione dell’interiorità del
singolo corrisponde, come effetto, la progressiva massificazione dei
comportamenti umani. Se questa è la diagnosi hofmanniana dei mali del
nostro tempo, Jünger attenderà un po’ a rispondere. È come se la visione
che il chimico esprime sia troppo debitrice della tradizione ma
scarsamente incisiva per poter scendere nella profondità tellurica del
contemporaneo. Solo qualche anno dopo, nel 1961, Jünger proverà ad
abbozzare una rapida replica sul tema della tecnica. Nella lettera del
27 dicembre 1961, dopo aver accennato alla revisione in corso di Al muro
del tempo, ricorda che gli sviluppi delle tecniche in relazione alla
fisica e alla biologia «non devono essere più intesi come progressi in
senso tradizionale, ma (come espressioni) che interferiscono
nell’evoluzione e che esulano dallo sviluppo della specie ». Per Jünger
il dominio della tecnica non è un mero progresso su basi continuative,
ma un salto, una discontinuità, un attraversamento della linea. Non
condanna la tecnica (come fa Hofmann), la colloca in un differente
universo con cui quel che resta dell’individuo deve sapersi misurare. La
tecnica si è rivoltata contro chi l’ha generata. Essa è potenza non già
progresso. Perciò è del tutto inutile piangersi addosso, sperare nel
ritorno del vecchio umanesimo. La tecnica non si doma con la visione del
mondo o con i valori che ad essa si accompagnano. Può solo indurre alla
consapevolezza che nasca una nuova figura antropologica (negli anni
Trenta era il lavoratore, ma anche il ribelle e l’anarca), che chiuda
un’epoca e ne apra un’altra.
Quando Jünger e Hofmann riflettono su
questo, la società occidentale sta mutando pelle. Le nuove culture, di
cui le droghe sono un risvolto, stanno ridefinendo la scala dei valori
sociali. Un’onda di libertà attraversa l’America e l’Europa. I due amici
guardano con sospetto e timore a quanto sta accadendo. Agli inizi degli
anni Sessanta sono in molti in America a interessarsi alla scoperta
dell’Lsd, tra questi c’è Aldous Huxley che Hofmann incontra a Zurigo nel
1961. Huxley ritiene che l’acido lisergico possa diventare un efficace
strumento di massa per future rivoluzioni dello spirito. Jünger stronca
una tale pretesa in maniera definitiva: «Non posso condividere il
pensiero di Huxley di dare alle masse la possibilità della trascendenza
». Le droghe sono una faccenda troppo seria per darle in mano a degli
sprovveduti. È la stessa critica che Hofmann rivolge a Timothy Leary -
dopo il loro incontro segreto a Losanna (il guru americano era braccato
dalla Fbi) - di aver propagandato la droga tra i ragazzi. Eleusi con le
sue suggestioni mitologiche è ormai solo un sogno lontano. Perfino
troppo pericoloso da interpretare e proporre a una società che non ne
comprenderebbe più il senso autentico. Più si addentrano nella vecchiaia
meno hanno voglia di tornare al passato. Lo stupore ormai ha poco a che
vedere con gli allucinogeni e molto con il mistero dell’essere eterno e
con la natura: il bosco, i fiori, il calore del sole, le passeggiate.
Sono due uomini assorti nei rispettivi eremi. Hanno superato il muro del
tempo. Nulla può più ferirli.
IL LIBRO Ernst Jünger e Albert
Hofmann, Lsd. Carteggio 1947-1997 ( Giometti & Antonello, trad.
di Simona Piangatello, pagg. 179, euro 21)
SCRITTORE Ernst Jünger nasce nel 1895 e muore nel 1998. Scrive, fra l’altro, L’operaio e Nelle tempeste d’acciaio
SCIENZIATO Albert Hofmann nasce nel 1906 e muore nel 2008. È stato il primo ad aver sintetizzato e assunto l’acido lisergico