domenica 22 ottobre 2017

pagina 99 21.10.2017
L’azionista che non ti aspetti 
Scambi | La Repubblica popolare vuole l’1% di Tencent, Alibaba e altre tech cinesi. Che potrebbero presto essere costrette a donare questa quota a Pechino
di Cecilia Attanasio Ghezzi


Il governo cinese vuole entrare nelle grandi aziende hi-tech del Paese. E, secondo quanto riporta ilWall Street Journal, starebbe discutendo con Tencent e Alibaba su come avere l’un per cento delle loro azioni. «Le piccole startup», spiegano le fonti consultate dal quotidiano finanziario, «riceveranno investimenti diretti dalle aziende di stato. Accordi più estesi saranno sovvenzionati da fondi governativi». Ma, insinua la testata statunitense, le aziende più grandi potrebbero essere costrette a «donare» parte delle loro quote azionarie a Pechino. L’idea risalirebbe al 2016 e dimostrerebbe la volontà del Partito comunista più grande del mondo di estendere il controllo sulle piattaforme di social media più utilizzate in Cina, che già devono pagare un esercito di censori affinché nessun commento o notizia sgradita venga pubblicata. Se la partecipazione diretta venisse confermata, il governo cinese si approprierebbe anche dell’enorme quantità di Big Data che queste aziende gestiscono. Ormai il loro campo di azione si è esteso ai pagamenti online, alla finanza, ai trasporti e all’ambito medico. Significa avere un accesso privilegiato alle vite di centinaia di milioni di cinesi, che già non godono della privacy a cui siamo abituati in Occidente. Quello che sappiamo per certo è che la pressione sulle grandi aziende tech sta crescendo. A settembre Baidu e Tencent sono state multate per aver permesso la diffusione di materiale pornografico e fake news sulle loro piattaforme di chat e microblogging. Il quotidiano di Partito China Daily ha infierito su Tencent, accusandolo direttamente della dipendenza che il suo migliore gioco online, Honor of Kings, starebbe provocando tra i giovani del Paese.L’attacco della propaganda di Stato ha causato l’immediato crollo in borsa del titolo. In un solo giorno le azioni hanno perso il 4 per cento del loro valore, e l’azienda 14 miliardi di dollari. Nessuna replica ufficiale. Nello stesso periodo è stato fatto circolare un documento governativo che, in nome del patriottismo e della fedeltà al Partito, ha richiamato all’ordine gli imprenditori. Ogni azienda privata dovrà aprire una sezione del Partito al suo interno, in analogia con quanto già accade in quelle pubbliche. Jack Ma, il fondatore di Alibaba, che non ha mai confermato né smentito la sua appartenenza al Partito, ama ripetere che «bisogna essere innamorati: mai sposare il governo, ma rispettarlo». Intanto ha messo su una fondazione con l’obiettivo di raccogliere oltre 15 miliardi di dollari per «creare opportunità per gli indigenti», facendo sua la «lotta alla povertà», una priorità di questo piano quinquennale. Il che, come ha detto un altro imprenditore al Wall Street Journal, «è come spendere più di 15 miliardi di dollari per comprarsi un talismano». L’un per cento delle azioni di Tencent, vale a dire circa 4 miliardi di dollari, sarebbe un prezzo relativamente più economico da pagare alla ragion di stato. Ma secondo alcuni indebolirebbe la già precaria indipendenza dell’azienda nel campo dell’innovazione. Per altri invece, l’ingresso del governo nell’azionariato sarebbe una garanzia contro il rischio di leggi inaspettate o inappropiate. Staremo a vedere. Quel che è certo è che Pechino ha deciso di concentrare le sue attenzioni sul settore economico più innovativo e redditizio che «il socialismo con caratteristiche cinesi» ha finora sviluppato.