mercoledì 11 ottobre 2017

La Stampa TuttoScienze 11.10.17
Umani&Macchine
Si avvicina il momento in cui evolveremo insieme
A Milano gli scenari dei guru della Singularity University
di Gabriele Beccaria

Si chiamano Divya Chander e Neil Jacobstein e molte cose li accomunano. L’interesse per i processi dell’intelligenza e il senso del sé, per la mente sintetica e per la prossima era dell’esplorazione spaziale. Un altro aspetto che ne intreccia le passioni è la scala temporale: quello che sembra un futuro lontano a loro appare come un presente già in formazione. Vedono crisalidi che sbocciano e sia la prima sia il secondo, con le loro ricerche, stanno contribuendo a moltiplicarle.
Divya e Neil sono due entusiasti e, quando si raccontano, sparpagliano concetti che si legano in modo inaspettato per poi disperdersi verso direzioni impreviste. Ti osservano per indovinare se riesci a stare al passo con le loro idee e in cambio aprono spiragli entusiasmanti sui progetti a cui lavorano. «Immaginiamo di connettere i cervelli con le macchine: così potremmo ottenere una super-coscienza!», dice, spalancando gli occhi, la neuroscienziata, professoressa a Stanford, mentre l’altro professore, specialista di Intelligenza Artificiale, li strizza a fessura per osservare che «siamo già esseri aumentati, in simbiosi con smartphone e laptop». E aggiunge che poco importa se le protesi elettroniche siano tascabili o se diventeranno micro-impianti nel cranio: l’importante - scherza - «è che non ci lascino cicatrici, se dovremo fare update periodici di memorie e programmi!».
Chander e Jacobstein erano tra i protagonisti di un forum a Milano, il primo in Italia, della Singularity University. Istituzione californiana che è più di un’accademia. È anche - e soprattutto - un incubatore di idee, concentrata sulle caratteristiche e sugli effetti delle tecnologie «esponenziali»: per esempio la genetica e la robotica, dato lo straordinario potere di far crescere la conoscenza e mandare all’aria ogni paradigma. Mentale e sociale. Ideata a Mountain View, nel centro della Nasa di Silicon Valley, è la creatura di due visionari, Peter Diamandis e Ray Kurzweil, e prende il nome proprio dalla «singolarità», resa celebre dallo stesso Kurzweil: è il momento epocale in cui tutto cambierà, perché i robot avranno superato gli umani e per la prima volta (se si mettono da parte i tempi ancestrali della rivalità tra Sapiens e Neanderthal) due specie pensanti si divideranno (e forse si contenderanno) il controllo del Pianeta.
Divya e Neil credono in una morbida co-evoluzione. «Studiamo interfacce avanzate, per esempio per aiutare i quadriplegici», spiega Chander, evocando un catalogo di protesi bioniche e avatar immateriali. «E poi ci sono gli esoscheletri avanzati», aggiunge, che traducono un’intenzione in un’azione. Passo dopo passo immagina per noi un futuro da cyborg soddisfatti, in cui corpo fisico e memorie sintetiche si fondano e in cui la parte artificiale realizza ciò che il lato biologico non raggiunge. Se nei topolini si inseriscono già chip neuronali, non è lontano il momento di replicare i test in noi. A lei interessa come aiutare i malati e come potenziare i sani, addentrandosi in uno dei misteri scientifici più caldi del XXI secolo: che cos’è la coscienza?
Aggirando possibili risposte, Jacobstein è convinto che le sue Intelligenze Artificiali siano destinate a imparare sempre più intensamente e a riuscire in compiti per noi impossibili. La consapevolezza, forse, potrebbe prendere forma attraverso la strabiliante quantità delle informazioni processate. «Mia moglie, che è medico, deve basarsi sulla conoscenza di alcune migliaia di pazienti, e non di più, e sullo scambio di dati con un certo numero di colleghi. Le menti sintetiche, invece potranno condividere le loro esperienze nel cloud», osserva, suggerendo numeri inconcepibili. L’A.I. - l’«Artificial Intelligence» - diventerà una risorsa ad ampio raggio. Ci aiuterà ad affrontare dilemmi giganteschi come i cambiamenti climatici e, adesso, «sa riconoscere le lesioni cancerose della pelle meglio dei dermatologi». Senza dimenticare che analizza la realtà bypassando i pregiudizi e le trappole logiche che sono un fardello della nostra specie, portando alla luce modelli destinati a rimanere altrimenti invisibili.
Un modello possibile lo cerca Divya proprio nella coscienza. Strumento d’indagine è l’optogenetica, con cui attivare e disattivare neuroni modificati geneticamente ricorrendo a micro-impulsi di luce. «Manipoliamo specifici circuiti», mentre con l’elettroencefalografia si registra l’attività elettrica di differenti zone del cervello durante l’anestesia e il risveglio. E quello che sta scoprendo è un’estrema variabilità di reazioni, da individuo a individuo. Si aprono interrogativi stordenti: «La coscienza è una proprietà locale o generale? I neuroni sono il filtro di un processo emergente più vasto? In che modo il corpo è legato alla mente?».
Stato di veglia e sonno, anestesia, ipnosi, coma... Ogni condizione sfuma in un’altra e il ventaglio si apre su altre creature. Anche un moscerino può essere indotto all’incoscienza, mentre la lista degli animali che si riconoscono allo specchio si allunga. Esplorare la coscienza - suggerisce Chander - significa addentrarsi nelle nostre abilità cognitive profonde e nella possibilità di potenziarle: «È essenzialmente un problema energetico, legato ai nostri scarsi watt».
Molti più watt, invece, saranno necessari per i robot a cui agenzie governative e società private affideranno l’esplorazione del Sistema Solare e della galassia. «Un obiettivo è la luna di Giove, Europa - dice Jacobstein -. Il progetto è far atterrare una sonda sulla crosta ghiacciata e perforarla». Al di sotto un’altra si immergerà nell’oceano liquido e «dovrà riconoscere, da sola, se gli nuota accanto una creatura e, piccola o grande, scattare un’istantanea». Joacobstein ammicca e ammette che il pesce potrebbe essere nient’altr che un microbo, ma, sebbene unicellulare, l’alieno farà storia. Il privilegio di quel primo e storico incontro sarà riservato a un’intelligenza artificiale, alla quale dovremo inculcare il meglio di noi: la scintilla della curiosità.