La Stampa 28.10.17
Alain Touraine
“Lenin volle costruire uno stato totalitario per cancellare la società
“Il comunismo è nato con l’idea che l’economia determina tutto ma oggi sappiamo che non è così”
di Francesca Paci
Saluti
il professore e gli domandi dove va il mondo» butta là il portiere di
una sobria palazzina a un paio d’isolati dalla stazione di Montparnasse.
Il professor Alain Touraine, classe 1925, scrive, pensa e riceve i
collaboratori in questo piccolo appartamento al dodicesimo piano, uno
sguardo ampio su Parigi. Il salotto in cui siede con il pullover rosso e
le gambe accavallate che mostrano i lunghi calzini in filo di Scozia, è
zeppo di libri di letteratura, sugli scaffali, in terra, tra le foto
con i nipotini. Quelli di sociologia, pane quotidiano del sommo esperto
di movimenti operai e cultura industriale, sono nello studio insieme
alle bozze del nuovo saggio che uscirà nel 2018 perché, dice, «il 2017
in Francia è l’anno della politica e non del pensiero».
Come leggiamo oggi la rivoluzione d’ottobre?
«Quello
in cui si decide la rivoluzione in un solo Paese è un momento cruciale
nella storia moderna europea e mondiale. Una rottura rispetto alla
rivoluzione internazionalista marxista o illuminista. Per quanto Lenin
citasse la Comune non c’è continuità. Nell’ottobre del 1917 i problemi
di uno Stato s’impongono su quelli di una classe sociale. La storia
russa dal 1905 al marzo 1917 è quella di un movimento sociale che si
muove nel solco delle rivoluzioni francese, inglese, americana, tutte,
al netto del sangue, finalizzate al voto democratico. La presa del
Palazzo d’inverno rovescia tutto. Lenin non crede nel cambiamento
endogeno della Russia e trasforma con la violenza i leninisti da
minoranza del partito socialdemocratico in forza rivoluzionaria. La
Russia, che in quel momento è un Paese in via di sviluppo con menti come
Majakóvskij e Malevich, passa da una società universale a una statale,
nazionale e autoritaria. La logica della società e quella dello Stato
sono antitetiche. La prima prevede conflitti di classe, modernizzazione,
orientamenti culturali. L’altra fa perno sulla centralità nazionale e
supernazionale con la guerra esterna».
Chi ha vinto tra la società e lo Stato?
«Ha
vinto Lenin perché dopo cento anni ha provato l’efficienza e la forza
del suo metodo. Per un po’ si è creduto che avesse prevalso la
democratizzazione, si sperava nei Paesi post coloniali, la Tunisia,
l’Algeria, l’India di Nehru. Ma ora anche l’India è finita, si è imposto
il nazionalismo e fortemente induista. Il mondo contemporaneo è pieno
di regimi totalitari o autoritari, nazionalisti o religiosi. Di contro
il sistema democratico non solo non si è diffuso ma è in crisi.
L’occidente sta pagando a distanza di tempo il prezzo salato del
colonialismo, le ex colonie hanno rifiutato il regime dei
colonizzatori».
Il ’900 è marchiato dall’odio: Auschwitz, i gulag, i muri della guerra fredda. Dobbiamo prepararci all’odio dei nazionalismi?
«Il
secolo breve è stato dominato dal totalitarismo e non solo comunista. A
cercare il cavillo il nazismo può essere sì diverso dallo stalinismo,
ma entrambi sono sistemi totalitari, anti-democratici e razzisti. L’odio
però, non è tutto uguale. L’odio contro il nazismo è stato positivo, ci
ha liberati. Quello contro lo stalinismo ha prodotto le primavere di
Budapest, Praga, Berlino, Tienanmen, Solidarnosc, l’unica grande
sollevazione anti sovietica e per la democrazia. Non è poco. Invece
tutti i movimenti anti occidentali vanno verso regimi autoritari o
dittature».
La speranza nel sol dell’avvenire è invecchiata prima del tempo?
«Il
comunismo è invecchiato come doveva, come tutti i regimi autoritari,
dittature proletarie o regimi che siano. Si arriva sempre alla
persecuzione. Non credo neppure che sia nato come speranza: all’inizio
si usava l’espressione “movimenti di emancipazione” ma un movimento
emancipatorio operaio, contadino, nazionale o religioso è tale solo se
approda alla democrazia. Se invece, come avvenuto in Urss, diventa
conquista e consolidamento del potere non ha nulla di emancipatorio: in
60 anni l’Unione Sovietica non ha democratizzato nulla in nessun
momento».
Nel saggioLe Nouveau Siècle politiquesi chiede cosa significhi essere di sinistra oggi. Cosa significa?
«Il
comunismo non è di destra né di sinistra, la destra e la sinistra si
riferiscono alla repubblica parlamentare, al parlamento. Senza sistema
parlamentare non c’è sinistra. Stalin si sentiva più vicino al nazismo
che al Regno Unito. Non conosco le nuove definizioni, direi che c’è solo
la democrazia ed è giunta alla sua terza fase. La prima ha conquistato i
diritti civili, la seconda quelli sociali e del lavoro, ora bisogna
puntare ai diritti culturali. Il Papa usa spesso la parola dignità,
credo sia la più importante»
C’è un’eredità culturale da raccogliere tra le ceneri del 1917?
«Il
comunismo è nato come idea che la socializzazione delle fabbriche fosse
la condizione fondamentale di tutte le altre libertà. La donna, la
scuola, l’eguaglianza. Il potere economico determinava tutti gli altri. I
social-rivoluzionari, da Nenni a Blum, lo seguirono ma dentro una
tradizione democratica. Nessuno la pensa più così. L’economia
capitalista e finanziaria non determina la letteratura e la musica, il
rapporto si è spezzato. L’un per cento dei ricchi non ha nulla a che
vedere con l’affermazione degli omosessuali. Oggi la liberazione è
individuale e non collettiva».