La Stampa 27.10.17
Così le milizie di Sabratha combattono per i soldi italiani
I libici: da Roma cinque milioni di euro per fermare i barconi
Rivolta delle fazioni contro il clan Dabbashi: l’accordo è un disastro
di Francesco Semprini
A
Sabratha, la città costiera, già feudo dell’Isis e hub delle carrette
del mare, si sta consumando una guerra che vede la potente famiglia
Dabbashi messa all’angolo da fazioni rivali e militari di Tripoli, sullo
sfondo di una lotta intestina per il controllo dei traffici, e di quel
presunto accordo tra il clan e l’Italia. Fonti locali parlano di cinque
milioni di euro in cambio dello stop dei barconi. Un tesoretto su cui
tutti vorrebbero mettere le mani. Ma quei soldi sono mai arrivati in
Libia? Se sì, che fine hanno fatto? La Farnesina smentisce
categoricamente ogni contatto, ma Hussein Alk-Alagi, portavoce della
milizia Al-Wadi, che ha innescato la rivolta anti-Dabbashi, conferma:
«L’accordo con l’Italia è stato un disastro». E mentre sulla polveriera
di Sabratha spunta anche l’ombra del generale Haftar, ci si chiede chi
fermerà l’ondata di migranti in arrivo dal serbatoio del Sahel.
La stangata ai traffici
L’accordo
della discordia risale a metà luglio. Secondo una versione ufficiosa il
clan Dabbashi avrebbe provveduto a fermare le partenze in cambio di
«attrezzature» e del «restyiling» della fedina penale degli affiliati
delle due milizie di famiglia, la Brigata 48 e Al-Amnu. Secondo fonti
locali sentite da «La Stampa» e riportate anche da media internazionali,
tra cui Ap, emissari italiani avrebbero stretto un accordo coi
Dabbashi, barattando aiuti e soldi, in cambio dello stop dei barconi.
Secondo quanto sostengono fonti locali il denaro in questione sarebbe
stato individuato nell’equivalente di circa 5 milioni di euro (non si sa
se e quanti ne siano arrivati), oltre alla garanzia di un ufficio nel
compound di Mellitah. La Farnesina smentisce qualsiasi contatto con il
clan. A confermare l’intesa è Abdel-Salam Helal Mohammed, direttore
dell’unità anti-trafficanti del ministero degli Interni libico: «Con
quell’incontro non ci sono state più partenze».
I Dabbashi spodestati
I
Dabbashi diventano da tycoon del traffico a gendarmi delle coste. A
luglio le partenze si dimezzano rispetto all’anno passato, ad agosto
calano dell’86%. Ma le fazioni tagliate fuori dalla spartizione di soldi
e potere insorgono. A metà settembre Al-Amnu ha uno scontro a fuoco in
mare aperto con i trafficanti di Al-Wadi, quartiere Est della città
costiera, dove i migranti vengono rispediti e rimangono bloccati. La
milizia (di orientamento salafita) scatena l’inferno: inizia
l’insurrezione anti-Dabbashi. Ai rivoltosi si affianca Operation Room
creata dal Consiglio presidenziale subito dopo i raid Usa di febbraio su
postazioni Isis a Sabratha. Alcuni di loro sono gli eroi di Sirte
guidati dal colonnello Abduljalil. I militari pian piano prendono il
controllo di Sabratha e i Dabbashi vengono messi all’angolo nel corso
degli scontri dove muoiono circa cento persone. Bashir Ibrahim,
portavoce di Al Amnu, riconosce che l’accordo con l’Italia è stato la
causa della guerra: «È una questione di potere, denaro e territorio». Il
portavoce di Al-Wadi, Hussein Alk-Alagi, definisce l’accordo un
«disastro» che ha rinforzato solo una banda di criminali.
L’ombra di Haftar
A
complicare le cose è Khalifa Haftar, che approfitta del caos per
infilarsi in Tripolitania. Secondo al-Tahar al-Gharabili, capo del
consiglio militare di Sabratha, il generale starebbe reclutando uomini
sul posto da affiancare agli stessi di Operation Room. Il gruppo
smentisce, ma a quanto sembra Haftar potrebbe contare su una strana
alleanza con i locali ultraconservatori Madkahalis. Al-Gharabili ritiene
che il generale stia guadagnando influenza ad Ovest come leva
negoziale. O ancor peggio punterebbe a una manovra a tenaglia nella sua
ipotetica marcia su Tripoli alla scadenza di Skhirat, a metà dicembre.
«Ci stiamo affacciando ad un’altra guerra - dice al-Gharabili all’Ap -
una guerra che va oltre Sabratha, una guerra regionale, una guerra in
Tripolitania».
I migranti dal Sahel
Ed in vista della quale
si impone come un macigno un’altra incognita sul fronte del traffico di
esseri umani. Bisognerà capire cosa rimane di quell’intesa con l’Italia o
se ci saranno nuove richieste. E capire dove è finito il «tesoretto
italiano», anzi se mai sia esistito e dove è finito. Quel che è certo è
che nel caos c’è chi ha rimesso subito in moto i barconi. A questo si
aggiunge un altro elemento: ottobre è sempre stato foriero di sbarchi in
Italia, lo scorso anno è stato un mese record e quest’anno già ce ne
sono stati 3.000. Secondo informazioni raccolte da La Stampa in Sahel, i
trafficanti del «serbatoio nero», stanno intensificando le rotte verso
la Libia, così tra poco migliaia di migranti e rifugiati verranno
ammassati a ridosso delle coste, pronti a prendere il largo, col rischio
di una nuova ecatombe.