La Stampa 18.10.17
Chi tocca Banca Etruria muore?
In via Nazionale la battaglia delle regole
di Stefano Lepri
Chi
tocca Banca Etruria muore? La mossa a sorpresa del Pd contro il
governatore Ignazio Visco, ispirata da Matteo Renzi, può essere letta in
due diverse maniere. Una è tutta politica: costi quello che costi, non
lasciare la polemica contro i crack bancari alle sole opposizioni, M5S
in testa. Un’altra è la vendetta per aver messo in difficoltà
l’entourage toscano del segretario Pd.
Il problema ovviamente
esiste. In un breve volgere di mesi, dalla seconda metà del 2012
all’inizio del 2013, il sistema bancario italiano di cui prima si era
vantata la solidità si è rivelato il più debole tra i grandi Paesi
dell’area euro. Può ben darsi che ci sia stato un ritardo nel rendersene
conto da parte della Banca d’Italia, allora unica responsabile della
vigilanza sulle nostre aziende di credito.
È legittimo discutere
se gli interventi sulle banche in difficoltà siano stati tempestivi.
Quello sul Monte dei Paschi che Visco fece nelle prime settimane del suo
mandato, autunno del 2011, lo fu. Per alcuni dei successivi,
soprattutto la Banca popolare di Vicenza che era guidata da un gruppo di
potere molto influente sia in Veneto sia a Roma, si possono avere
dubbi.
Ma i politici dove erano? Dalla parte opposta.
Quasi
sempre da ogni parte del Parlamento sono venute pressioni per non
drammatizzare o per evitare interventi traumatici; in un caso almeno, il
commissariamento della Cassa di Risparmio di Chieti nel settembre 2014,
anche il M5S protestò. Nel caso di Banca Etruria si era adoperata
appunto l’allora ministra Maria Elena Boschi.
L’assorbimento di
una banca in difficoltà da parte di una più grande è sempre parsa ai
politici la soluzione più opportuna per lavare i panni sporchi in casa,
non turbare gli assetti di potere ed evitare conseguenze giudiziarie.
Nel caso di Banca Etruria si parla appunto di svariati tentativi di
questo tipo; e altro forse verrà a galla, nell’inasprirsi dello scontro.
Su
questo l’amministratore delegato di Unicredit ha promesso di parlare
davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta. In un’altra fase
girò l’ipotesi di un intervento della Popolare vicentina, finita nel
baratro essa stessa. Alcuni degli imputati hanno attribuito il
suggerimento alla Banca d’Italia, la quale tuttavia è convinta di poter
dimostrare di non esserne stata parte.
«Sbagliai a fidarmi della
Banca d’Italia» recente affermazione di Matteo Renzi, è una frase
ambigua, che si presta a diverse letture. Ne è sempre mancata una
esplicazione precisa: quando, come, su quali banche. Cosicché si è
tentati di sospettare che il rancore derivi non da ciò che la Banca
d’Italia ha mancato di fare, ma da ciò che, magari un pochino tardi, ha
fatto.
All’attacco improvviso oltre a capi d’accusa articolati
mancano anche proposte alternative. Di personaggi esterni di autorità e
competenza indiscutibili ce ne sarebbero, per dare una nuova guida alla
Banca d’Italia; ma nessuno di essi pare sia mai venuto in mente a chi
conduce l’attacco.
Oltretutto, per sostenere la linea Draghi nel
consiglio Bce contro le pressioni tedesche serve un governatore
rispettato all’estero, capace di esprimersi con proprietà sulle
intricate faccende della moneta. Un italiano non all’altezza sarebbe un
colossale autogol per l’economia del nostro Paese.