La Stampa 16.10.17
Il populismo sul confine del Brennero
di Stefano Stefanini
Giovane
e bello, Sebastian Kurtz offre la versione alpina di Emmanuel Macron,
Justin Trudeau o Leo Vadakar. Sono tutti esempi di un’ondata di
ringiovanimento generazionale che si fa strada in Europa e in Occidente.
Non è solo immagine. L’età conta specie quando si presenta con capacità
di risposta alle ansie del pubblico e capitalizza sull’insoddisfazione
diffusa nei confronti della vecchia classe politica. Se Luigi Di Maio
sta diligentemente prendendo appunti, ne ha ben donde.
C’è un
fondo di verità, ma le apparenze, come sempre, ingannano. Quello che è
successo ieri in Austria è molto diverso da quanto avvenuto in Francia.
Macron ha indirizzato il desiderio di rinnovamento verso il centro dello
schieramento politico. L’ex ministro degli Esteri, e probabile prossimo
cancelliere, austriaco ha compiuto l’operazione di verso opposto. Ha
spostato il centro verso le istanze populiste. Ne ha cavalcato ansie e
rivendicazioni fino al punto di tagliar l’erba sotto i piedi dei
populisti doc, nel caso austriaco del partito della Libertà di
Heinz-Christian Strache.
E tutt’altro che completamente, visto che Strache esce dalle urne con un più che rispettabile 26%.
Anche
se i socialdemocratici hanno tenuto (26,9%), il voto austriaco di ieri è
una vittoria del sentimento populista, il vero fantasma che si aggira
oggi in Europa e nel mondo occidentale. Quale che sarà la futura
maggioranza di governo a Vienna, l’asse austriaco si è spostato verso
posizioni fortemente restrittive sull’immigrazione e difensive della
sovranità nazionale nei confronti dell’integrazione europea. Il
risultato è un doppio messaggio: all’Europa e all’Italia.
All’Europa:
senza nulla togliere all’importanza del successo di Macron in Francia,
il sospiro di sollievo tirato in maggio e giugno è stato prematuro. Il
fermento populista sta scavando a fondo le società europee; non sarà in
grado di vincere alle urne ma le cattura ugualmente. Le rivendicazioni
di cui è portavoce, specie in funzione anti-immigrazione, riescono a
condizionare l’agenda dei nuovi governi con o senza la partecipazione
dei partiti populisti alle coalizioni.
Come nella punta di un
iceberg, in Austria il condizionamento è visibilissimo: per vincere
Kurtz ha occupato lo spazio del partito della Libertà; lo sarà ancora di
più se farà maggioranza di governo con Strache; dovrà tenerne conto
anche se tornasse alla grande coalizione con i socialdemocratici.
Ma
l’Austria non è un caso isolato. Lo stesso condizionamento è alle
radici del voto e del nuovo governo olandese; surrettiziamente
influenzerà la futura coalizione tedesca. Il grosso dell’iceberg è
proprio la Germania; non tanto e non solo per il sostanzioso ingresso al
Bundestag di AfD, ma per le concessioni che Angela Merkel è costretta a
fare al Csu bavarese e all’Fdp. Sempre sugli stessi temi: immigrazione e
Europa. Da sempre prudente, la Cancelliera europeista dovrà raffreddare
gli slanci integrazionisti di Macron. Non per scelta, ma per patti di
governo e politica interna. Sul piano finanziario e monetario avremo
nostalgia di Schäuble.
Negli equilibri europei l’Austria è un
Paese cerniera fra tre o quattro dimensioni: centrale, alpina,
mediterranea, balcanica. Questo ne fa un laboratorio che non può essere
ignorato da Bruxelles, e ancor meno da Roma. Vienna può essere l’ago
della bilancia - o far pendere la bilancia. Il voto di ieri tende a
questo secondo effetto. Innanzitutto avvicina l’Austria ai quattro Paesi
di Visegrad (Ungheria. Slovacchia, Polonia; e Repubblica ceca - dove si
sta pure per votare) su una piattaforma comune di resistenza
all’immigrazione e di riaffermazione delle prerogative nazionali.
Prima
fra tutte, il controllo delle frontiere, slogan vincente di Brexit,
grande magnete di tutto il filone populista e sovranista, riecheggiato
anche nel discorso di Donald Trump all’Onu. Il dibattito filosofico è
aperto ma all’Italia pone un problema molto concreto: quello di trovarsi
fra porosità delle coste mediterranee e chiusura dei valichi alpini,
con l’accumulo di un’immigrazione che entra ma non può uscire.
Da
ministro degli Esteri Kurtz non ha esitato a chiudere le frontiere;
figuriamoci da cancelliere dopo una campagna in cui ha promesso di
farlo, se necessario. Per evitare che il Brennero torni ad essere una
barriera per persone e merci, l’Italia non può limitarsi a far
affidamento su Bruxelles. L’Ue è spesso impotente quando si toccano
forti corde nazionali. Immigrazione e confini sono fra queste. Roma deve
pertanto assolutamente continuare a contenere sbarchi e arrivi come sta
facendo con successo dall’estate scorsa, insistendo per il massimo
coinvolgimento (e finanziamenti) Ue.
L’Italia deve anche essere
pronta a trattare bilateralmente col nuovo governo austriaco. In spirito
di massima cooperazione per quanto possibile; a muso duro se
necessario. Nell’Europa di Schengen non c’è posto per il Brennero chiuso
al traffico.