La Stampa 13.10.17
Austria, nell’ex fortino rosso che ora caccia gli immigrati
Dopo 70 anni Wels è in mano all’ultradestra. Il sindaco: qui si parla tedesco e si mangia maiale
di Letizia Tortello
Il
motto della città è un comandamento per i nuovi arrivati: «Senza
tedesco, niente casa». Il decalogo che il sindaco Andreas Rabl ha messo
in piedi per svuotare il suo Comune dai migranti ruota tutto attorno a
quel catalogo che i genitori dei bimbi dell’asilo ricevono a inizio
anno: «Qui si rispettano i valori europei e austriaci. Si festeggiano
Natale e Pasqua a scuola, si mangia carne di maiale, anche se non è
obbligatorio, si parla tedesco». Siamo a Wels, tra le colline gentili
dell’Alta Austria. Questo Comune di 58 mila abitanti per 70 anni è stato
un fortino «rosso», governato dai socialdemocratici dell’Spö, ma nel
2015 la musica è cambiata. Ha vinto la destra nazionalista dell’Fpö. Che
a Wels ha il volto gaio e pulito di un avvocato 45enne.
«Mi sono
appellato al tribunale regionale e poi alla Corte federale e ho vinto. A
Wels non sono riusciti a costruire un centro di accoglienza, così i
migranti sono andati a Vienna o a Linz». L’Oberösterreich è il terzo
Land austriaco ad aver ricevuto più richieste di asilo nel 2015, lo
hanno preceduto solo la capitale e la Bassa Austria. Un quarto dei
residenti è straniero, «la metà è musulmano – spiega Rabl –, per lo più
turco o bosniaco, e poi ci sono anche 600 tra siriani e afghani, ma per
fortuna abbiamo fermato l’invasione. La sicurezza è il nostro principale
problema».
E dire che in questa cittadina dagli edifici liberty e
dal centro storico colorato e pieno di gerani, tutto sembra scorrere
quieto come il fiume Traun che la lambisce. Ma questa non è la
percezione degli abitanti, che da quando c’è Rabl si sentono più
tutelati. «Io sono fiero di essere nazionalista – racconta Horst
Pichler, pensionato a passeggio per la Stadtplatz con la compagna -.
Naturalmente ci sono due tipi di migranti, quelli che hanno bisogno di
protezione e quelli economici. Non ce l’ho con i primi, hanno ragione a
fuggire, ma l’Austria ne ha già troppi. I secondi, invece, non li
vogliamo. Ci sono tanti disoccupati austriaci, non possiamo pagare per
gli stranieri». E infatti l’Alta Austria, governata da una coalizione di
popolari (Övp) è Fpö, è l’unica regione che ha abbassato la
«Mindestsicherung», l’aiuto economico per chi ha ottenuto l’asilo
politico, che era lo stesso dato a chi ha perso il lavoro. «Non è giusto
che persone che non hanno mai pagato le tasse qui prendano gli stessi
soldi di chi le paga», commenta Rabl e sorride. Magdalena Danner, membro
dell’associazione Migrare che aiuta gli stranieri a cercare lavoro, la
vede al contrario: «Le lungaggini burocratiche per ricevere l’asilo sono
un grosso ostacolo - dice - e regole come queste rendono molto
difficile l’integrazione, perché portano solo paura e razzismo».
È
la destra populista che avanza e oggi è seconda ai sondaggi. Domenica
alle elezioni corre con il candidato Heinz-Christian Strache per un
posto di peso nel governo. Per il sindaco di Wels, il favorito alla
cancelleria Sebastian Kurz, dei popolari, «ha rubato i programmi
dell’Fpö. O ci dà ministeri importanti, come quello dell’Interno, degli
Esteri e del Welfare, o è anche meglio stare all’opposizione». Fuori dal
suo ufficio, in una calda giornata d’autunno, passano donne col velo
che spingono passeggini e altre eleganti alla guida di suv. I loro figli
sono tenuti a imparare il tedesco fin dai tre anni; gli allievi
stranieri all’asilo sono divisi in gruppi di tre per apprendere meglio
la lingua, perché altrimenti erano un «grosso problema per l’educazione
degli altri». I loro mariti o loro stesse, per continuare a ricevere
l’assegno, devono dimostrare tutti i mesi che stanno cercando lavoro,
che frequentano corsi di lingua e che condividono i valori austriaci.
Nel quartiere immigrato della città, Noitzmühle, ci sono guardie
comunali che mantengono l’ordine, il sindaco non ha avuto il permesso di
installare le telecamere per questioni di privacy. A chi gli chiede se
un’integrazione di questo tipo non significhi una chiusura totale nei
confronti di chi ha valori e culture diverse, lui risponde: «Ci sono
immigrati che mi vanno bene, tipo mia moglie che è russa, avvocata,
parla tedesco. La legge è la cosa più importante, se metti dio davanti
alla legge qui non trovi posto».