mercoledì 11 ottobre 2017

La Stampa 11.10.17
Una riforma pagata a caro prezzo
di Marcello Sorgi

Va detto subito: la decisione di Gentiloni (e soprattutto di Renzi) di porre la fiducia sul Rosatellum è una forzatura. La legge elettorale è la più politica delle leggi, la principale delle regole del gioco ed è sempre meglio che sia il Parlamento a decidere in materia, e non il governo a imporsi. La fiducia - che cancella gli emendamenti e le 160 votazioni in cui pezzi di maggioranza si sarebbero potuti unire a pezzi di opposizione approfittando dello scrutinio segreto -, in Italia è spesso l’unico strumento che l’esecutivo ha per realizzare le proprie scelte, di fronte a coalizioni divise, riottose o in via di liquefazione, com’è ormai quella attuale, al termine della legislatura.
Ed è un modo - legittimo, beninteso, ancorché non ordinario - di coartare la volontà del Parlamento, ponendogli l’alternativa secca tra approvare un testo o provocare la crisi di governo. Era stato lo stesso Gentiloni, del resto, a dichiarare che non sarebbe intervenuto sulla legge elettorale, lasciando che fossero le Camere a occuparsene. Di qui appunto la doppia forzatura: la fiducia posta su una materia delicata, di stretta competenza parlamentare come la legge elettorale, e per di più al di fuori del programma concordato con la propria maggioranza.
Premesso questo, forse bisognerebbe chiedersi cosa ha spinto a forzare il governo, e sottinteso il Quirinale, la cui condivisione era necessaria per avviare il percorso stabilito. E prima ancora, farsi un’altra domanda: sarebbe stato meglio abbandonare anche il Rosatellum, dopo l’affondamento del Tedeschellum a giugno, in balia dei franchi tiratori, che già si preparavano alle loro scorribande, o adoperare tutti i mezzi possibili per ottenere che la legislatura non si concluda senza aver varato una nuova legge elettorale? In mancanza della quale, ricordiamolo, si sarebbe andati a eleggere le nuove Camere con i due differenti moncherini del Porcellum e dell’Italicum, lasciati in vita dalla Corte costituzionale nel timore di un’emergenza. Oltre a produrre risultati diversi per Camera e Senato, eventualità purtroppo già verificatasi in precedenti elezioni politiche, non solo nel 2013, la combinazione dei due sistemi elettorali avrebbe determinato con assoluta certezza l’assenza di maggioranze, sia a Montecitorio sia a Palazzo Madama. I lodatori del ritorno al proporzionale e ai «bei tempi» dei governi che nascevano in Parlamento, questo avrebbero dovuto considerarlo: nella Prima Repubblica, infatti, le maggioranze e le coalizioni parlamentari erano in qualche modo obbligate dalla massiccia presenza del Partito comunista, escluso per ragioni di quadro internazionale dalla prospettiva del governo. Oggi invece un Parlamento non in grado di dar vita a un governo e a una maggioranza, o capace di esprimerne di incerti, navigherebbe sul filo dello scioglimento e di molteplici richiami alle urne, com’è accaduto di recente in Spagna, con conseguenze (vedi la secessione della Catalogna) determinate dalla debolezza di un esecutivo di minoranza.
Nel merito, il Rosatellum è tutto fuorché un toccasana, e non è sicuro (anche se è possibile) che sia in condizione di condurre i cittadini a esprimere un chiaro indirizzo che porti a un esecutivo stabile. Aver rinunciato al sistema maggioritario - che in tutta Europa consente agli elettori di scegliersi i governi, e in Italia, grazie al doppio turno contenuto nell’Italicum e purtroppo dichiarato incostituzionale, avrebbe messo anche gli italiani in condizione di decidere -, ha portato Gentiloni a un bivio complicato: rassegnarsi al proporzionale, con la confusione che ne sarebbe seguita, o acconciarsi al compromesso del Rosatellum, un mix assai edulcorato di maggioritario e proporzionale (solo un terzo dei parlamentari saranno eletti in collegi uninominali), aggravato dall’imposizione finale della fiducia per approvarlo. Una forzatura innegabile e forse incancellabile, dopo quella analoga e assai contestata di Renzi sull’Italicum; ma resa necessaria, come s’è visto, dal corso delle cose. Che porterà infine, c’è da scommetterci, il testo della nuova legge, se approvata, per la terza volta all’esame della Corte costituzionale; ed esporrà anche il prossimo Parlamento, se eletto con il Rosatellum, al rischio di veder messa in dubbio la propria legittimità. Dopo quasi cinque anni, dal punto di vista politico-istituzionale e delle regole del gioco, l’Italia si avvia così a uscire da questa legislatura peggio di come ci era entrata. Avremo, sì, una legge elettorale: almeno questa. Ma a che prezzo.