internazionale 21.10.2017
Benvenuti a Hollywood
Le rivelazioni su Harvey Weinstein confermano che nel mondo del cinema il potere è nelle mani degli uomini
di Kate Muir, Financial Times, Regno Unito
Nel film dal titolo vagamente premonitore L’eccezione alla regola, Warren Beatty interpreta l’eccentrico aviatore e magnate Howard Hughes. Alla fine degli anni cinquanta, Hughes manteneva una scuderia di giovani attrici a sua disposizione in diversi appartamenti di Los Angeles e, nella versione cinematografica diretta da Beatty, la preferita tra queste starlette è interpretata da Lily Collins. Nella scena di seduzione, tristemente inevitabile, la disparità del potere è inquietante, così come il divario di età tra gli interpreti: all’epoca delle riprese Beatty aveva 79 anni, Collins 27. Nelle interviste la vanità di Beatty appariva evidentemente soddisfatta. L’eccezione alla regola è stato un flop. Momenti come questo dimostrano una volta per tutte come Hollywood sia una terra dimenticata dal tempo e dall’uguaglianza. In questo mondo cinematografico a parte, lo scorso anno gli uomini hanno diretto 96 dei cento ilm di maggior successo, che in molti casi parlavano di ragazzi in calzamaglia con i superpoteri. Esiste inoltre un vergognoso divario nei compensi: i dieci attori più pagati guadagnano complessivamente il triplo delle loro controparti femminili. In qualsiasi altro ambiente questo squilibrio sarebbe imbarazzante. Hollywood è semplicemente l’eccezione alla regola. Cambierà mai tutto questo? Forse adesso sì. Una coltre di vergogna si sta stendendo su Hollywood dopo le rivelazioni sulle molestie compiute da Harvey Weinstein. La produttrice Elizabeth Karlsen della Number 9 films di Londra, che ha lavorato con la Weinstein company per Carol, si è chiesta: “Come abbiamo potuto lasciar agire indisturbato per tanto tempo un simile predatore sessuale psicopatico? È un lato oscuro del settore di cui in troppi erano a conoscenza. E c’è il problema della colpa di chi sapeva e che per tutta una serie di ragioni non ha fatto nulla al riguardo”.
Fase discendente
La stessa Karlsen sapeva di un accordo raggiunto dalla Miramax, la casa di produzione fondata da Weinstein, con una giovane dirigente ai tempi in cui la sua azienda aveva degli uffici condivisi a Londra, quasi trent’anni fa. “Lei venne direttamente da me e mi disse che Harvey si era presentato nudo nella sua camera da letto”, racconta Karlsen e aggiunge: “È talmente catartico per le donne poter finalmente parlare, poter finalmente avere una voce. Molte donne hanno sofferto troppo e noi non abbiamo detto praticamente niente. Questa storia non può finire qui”. Probabilmente non è una coincidenza che gli addetti ai lavori abbiano scaricato Weinstein, che oggi ha 65 anni, quando il suo fiuto per i film da Oscar ha cominciato a fare cilecca. La distribuzione del tormentato Tulip fever è stata rimandata e Wind river, il film su cui quest’anno si erano concentrate le speranze di vincere un Oscar, ha ricevuto un’accoglienza piuttosto tiepida. recentemente la Weinstein company ha licenziato una cinquantina di persone e ha perso dei dirigenti importanti. E come ha fatto notare su twitter Zack Stentz, sceneggiatore di Thor e X-men: l’inizio: “sapremo che la cultura di Hollywood è cambiata quando a cadere sarà un predatore al culmine del suo potere, non uno già in fase discendente”. Mettendo da parte Weinstein (come avrebbe dovuto fare molto tempo fa la sua azienda, miope in modo sospetto), il fatto che lo squallido comportamento del grande capo non sia mai stato messo in discussione svela una cultura che va dritta al cuore malato dell’industria cinematografica. Evidentemente Weinstein non è l’unico con un problema di dipendenza dal casting couch, il divano dove le aspiranti attrici sono costrette a concedere favori sessuali per ottenere una parte. Come si dice di Howard Hughes in L’eccezione alla regola: “È vecchio, ma comunque tutti lo adorano”. sostituite “vecchio” con “ricco e potente” e il concetto è ancora valido. Fino a sette anni fa, quando sono diventata la principale critica cinematografica di un quotidiano, non avevo ancora visto da vicino la decadenza e gli intrighi di Hollywood e non avevo capito fino a che punto l’industria cinematografica fosse alimentata da un serbatoio di testosterone. Come un’onesta critica cinematografica qualunque, prima mi capitava di andare a vedere un affascinante piccolo film francese o un filmone in corsa per gli Oscar e pensavo che tutto andasse per il verso giusto. Quando cominci a vedere 350 film all’anno, però, viene sempre più spesso da chiedersi che fine hanno fatto le registe, i registi neri, asiatici o di qualsiasi altra minoranza, e perché i protagonisti dei film nell’80 per cento dei casi siano maschi. A differenza di qualsiasi altra forma d’arte, la produzione di film popolari sembra uscire fuori da una sorta di misterioso club per gentiluomini. sono passati alcuni mesi prima che vedessi il nome di una regista sullo schermo di un multisala, e a quel punto si scopre che il 97 per cento dei registi di film campioni d’incassi sono uomini. E tra gli sceneggiatori, una categoria in cui si potrebbe pensare che le donne siano meno discriminate, la quota (89 per cento) non è molto più equilibrata. Così si spreca il talento della metà dei diplomati alle scuole di cinema. È solo sotto i riflettori delle accuse a Weinstein che le ragioni di una simile esclusione cominciano ad avere un senso: quest’atmosfera rende difficile alle donne anche solo respirare, figuriamoci affermarsi. dieci anni fa la mia amica Melissa Silverstein ha fondato Women and Hollywood con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’uguaglianza e la diversità nell’industria cinematografica. Qualche anno fa mi sono unita a lei. Silverstein spera che il disastro Weinstein possa portare a uno sguardo più profondo sull’industria cinematografica e sul trattamento ricevuto dalle donne a tutti i livelli. “Gli eventi della scorsa settimana hanno svelato ciò che molte di noi sanno da tempo: Hollywood è piena di una mascolinità tossica”, mi dice, mentre continuano a emergere nuovi fatti: le accuse sono più di venti e vanno dalla molestia sessuale allo stupro. “La mancanza di opportunità per le donne di arrivare ai vertici ha creato un settore gestito da uomini, e questi uomini sono protetti da altri uomini, e possono fare quello che vogliono”.
Il re sole in Costa Azzurra
Un settore in cui le valute principali sono bellezza e denaro, con un tocco di talento, rimanda all’esterno un’immagine molto diversa e peculiare. Una volta ho incontrato il direttore di uno studio alla soho House di Los Angeles, un posto elegante con un bel panorama sulla città. Le donne al bar sembravano molto giovani, e gli uomini molto più vecchi di loro. Per un momento ho pensato che a Hollywood avessero organizzato una giornata “porta tua figlia al lavoro”. Purtroppo non era così. Al festival del cinema di Cannes, durante il quale Weinstein, all’Hotel du Cap, si comportava come il re sole, basta guardarsi intorno per farsi un’idea di come stanno le cose. La prima volta che ci sono andata ho notato con orrore come in ogni albergo pieno di marmi gli uomini facevano affari mentre le donne si rifacevano l’acconciatura (con pochissime eccezioni). Ho detto a un collega, in tutta innocenza: “Non è straordinario guardare tutti questi ometti in giacca e cravatta passeggiare sulla Croisette insieme a fidanzate altissime?”. “Quelle non sono fidanzate, mia cara”, mi ha risposto. “sono pagate per alimentare l’ego di quei signori”. Prostitute e modelle fuori servizio sono un aspetto accettato dell’appariscenza di Cannes. Il festival ha sempre preferito i tacchi alti: qualche anno fa scoppiò lo scandalo “Heelgate”, quando i responsabili del protocollo cercarono di vietare alle donne che indossavano scarpe basse di sfilare sul tappeto rosso. Anche in questo caso l’atmosfera non favorisce la presenza di donne che lavorano sodo. Cannes celebrerà sempre un auteur, per quando dubbia possa essere la sua vita privata. Quest’anno a Roman Polanski, su cui negli stati Uniti pende ancora un mandato d’arresto per aver avuto un rapporto non consenziente con una minorenne, è stata dedicata una proiezione da tappeto rosso. Nel 2016 Café society di Woody Allen ha inaugurato il festival. Nel film, cosa non insolita per una pellicola di Allen, ci sono un uomo più anziano e una donna molto più giovane: Steve Carrell è un agente di Hollywood che ha una relazione con la sua segretaria, interpretata da Kristen Stewart. C’è una sorta di omertà alle conferenze stampa di Cannes, durante le quali nessuno fa domande provocatorie, ma io ho chiesto ad Allen se avesse mai pensato a una storia d’amore tra un uomo più giovane e una donna più anziana. “Non è una cosa che si vede spesso, e non ho molta esperienza in tal senso a cui attingere per avere del materiale”, mi ha detto. “È un’idea comica assolutamente valida”. Una volta a Cannes ho perino incontrato Weinstein. Ha scavalcato il cordone che separava i vip a una festa, mi ha stretto cortesemente la mano e poi si è dileguato. Evidentemente la versione pubblica e quella privata di Weinstein conducevano vite separate. In quel momento noi critici eravamo tutti colpiti dal fatto che Weinstein avesse avuto l’intuizione di acquistare i diritti di The artist di Michael Hazanavicius, che poi avrebbe vinto l’Oscar come miglior ilm, prima della sua acclamazione a Cannes. Qualcuno potrebbe pensare che il mondo del cinema d’autore sia più aperto alle donne. Nel 2010 e nel 2012 però non c’erano registe in gara per la Palma d’oro a Cannes. L’anno scorso le donne erano tre, il 14 per cento. Altri festival si spingono oltre: al festival del cinema di Londra che si è chiuso il 15 ottobre, un quarto dei ilm erano diretti da registe. All’inaugurazione la direttrice, Clare Stewart, ha detto che questa percentuale non va ancora bene, ma “farla notare senza nasconderla come se fosse uno sporco segreto è una parte molto importante del tentativo di cambiare davvero le cose”.
Il seme della distruzione
L’ancien régime di Hollywood però non è destinato a cadere, soprattutto finché il mercato internazionale, cioè il 70 per cento del pubblico, amerà solo i transformer o le serie dei supereroi. del resto molti di questi ilm al posto dei dialoghi hanno le esplosioni, che non hanno bisogno di traduzione. Quest’anno solo due dei primi dieci campioni d’incassi negli stati Uniti non sono sequel o nuove versioni di opere del passato. Molti film dei supereroi sono andati piuttosto male al botteghino statunitense e hanno provocato uno sbadiglio collettivo nel pubblico. Il target dei maschi ventenni, preso di mira per anni, è in declino, mentre cresce un pubblico più vario. Nella serie Fast and furious il cast è composto da neri, asiatici, ispanici e bianchi, e il suo successo dura da 16 anni. E cos’ha trionfato ai primi due posti negli stati Uniti e nel regno Unito nel 2017? Due film con protagoniste femminili che hanno sbancato al botteghino: La bella e la bestia con Emma Watson e Wonder woman con Gal Gadot, che in qui hanno incassato più di 820 milioni di dollari. I signori dovrebbero prendere nota. E in effetti lo hanno fatto. A Patty Jenkins, la regista di Wonder woman, è stato offerto di dirigerne il seguito. Lei però non ha intenzione di accettare più compensi “da signora”. Ha chiesto tra i 7 e i 9 milioni di dollari, un compenso superiore a quello mai pagato a una regista, anche se non paragonabile a quello offerto a Christopher Nolan, che per dirigere Dunkirk dovrebbe aver guadagnato una cifra intorno ai venti milioni di dollari. “Certo, i soldi sono sempre importanti”, ha raccontato Jenkins a Vanity fair. “Ma mai come in questa contrattazione ho avvertito questo senso del dovere. Ero assolutamente cosciente del fatto di dovermi assicurare di essere pagata quanto un mio equivalente maschile”. Il 52 per cento delle persone che vanno al cinema sono donne, perciò nessuno, a parte chi comanda nel settore, dovrebbe stupirsi del fatto che i ilm con al centro protagoniste femminili abbiano tanto successo. È sempre stato così, dai giorni gloriosi dei “film per donne” degli anni quaranta, quando Joan Crawford era la protagonista di Il romanzo di Mildred e Rosalind Russel interpretava La signora del venerdì. Nell’ultimo decennio, nelle produzioni televisive di qualità sono apparse molte donne con caratteri complessi, brutti maglioni e strane ossessioni, mentre il cinema più popolare non è riuscito a rispecchiare il suo pubblico principale. Forse gli uomini di Hollywood, anziani e fuori dalla realtà, portano con sé i semi della distruzione del loro settore? se si crea un mondo in cui le donne intelligenti e creative si sentono a disagio, trattate come oggetti e sminuite sul lavoro, le migliori andranno altrove. Pensiamo a Jane Campion, l’unica donna ad aver mai vinto la Palma d’oro a Cannes, che ha lasciato il cinema per la tv e ha creato la serie Il mistero del lago. E mentre produttori più piccoli e meno mainstream come Netlix e Amazon hanno cominciato a finanziare un film dopo l’altro, il tappeto rosso rischia di essere tirato via da sotto i piedi della vecchia guardia.