Il Sole 25.10.17
L’Asia tra l’imperatore cinese e l’incognita Trump
di Stefano Carrer
Donald
Trump non ha certo dimestichezza con le sottigliezze della politica
asiatica. Ma certo si sarà accorto che nel suo prossimo viaggio si
troverà di fronte due interlocutori politicamente rafforzati: i leader
delle due principali economie regionali, emersi entrambi al vertice dei
loro Paesi nel 2012 e freschi di rinnovata incoronazione. Uno, Xi
Jinping, ormai assunto nell’Olimpo della storia cinese dopo l’ultimo
congresso del partito, che ne ha cementato il potere personale come
disegnatore di una visione politica che odora di vero balzo in avanti
verso l’egemonia regionale e di lunga marcia verso una primazia globale.
L’altro, Shinzo Abe, si è visto riconfermare una maggioranza
parlamentare di due terzi che lo proietta verso la storia, come
possibile premier più longevo del Giappone dai tempi della prima
costituzione Meiji alla fine dell’Ottocento.
Un tweet di
congratulazioni molto caloroso è arrivato ad Abe dal premier indiano
Narendra Modi, che l’ha chiamato «my dear friend», e con il quale
intende rafforzare ulteriormente le relazioni indo-giapponesi (mentre il
segretario di Stato Usa Rex Tillerson ha esplicitato la volontà di
rafforzare i legami con New Delhi in funzione di contenimento della
Cina). Se la “nuova era” cinese preconizzata da Xi allarma in primis
altri Paesi asiatici, solo la conferma dell’impegno americano verso la
regione può dare vigore al loro avvicinamento.
Per il momento,
come osserva Ian Bremmer (Eurasia Group), una buona notizia per Trump,
alla vigilia del suo viaggio, è la netta vittoriale elettorale di Abe -
di gran lunga l’alleato più stretto nella regione -, che garantisce il
miglioramento dei legami bilaterali nella Difesa e l’appoggio a una
linea dura verso la Corea del Nord, moltiplicando le pressioni su
Pechino perché continui a rafforzare le sanzioni (sul commercio, invece,
Abe farà melina per evitare di avviare negoziati bilaterali). Se poi
cercherà di cambiare la Costituzione ultrapacifista varata sotto
l’occupazione americana, non troverà obiezioni a Washington, che lo
incoraggerà anche a continuare a offrire appoggio e assistenza ai Paesi
in contenzioso territoriale con Pechino. «La Corea del Nord è un peso e
una distrazione per Tokyo – osserva Narushige Michishita dell’Istituto
di ricerche Grips –. La strategia giapponese è intesa a mantenere pace e
stabilità nella regione di fronte all’ascesa cinese: questo è il vero
problema». Secondo molti analisti, sul breve i due leader rafforzati
potranno però procedere a un miglioramento dei rapporti bilaterali. Non a
caso Abe è andato, nel giorno in cui ha sciolto la Camera Bassa,
nell’hotel di Tokyo dove si celebravano i 45 anni di normalizzazione dei
rapporti bilaterali, scambiando messaggi con il premier cinese. E ha
invitato Xi in Giappone nel 2018, dopo una sua desiderata visita in
Cina, oltre a proporre entro fine anno un vertice a tre con Seul. È in
attesa di risposte dal nuovo imperatore che sta a Pechino.