il manifesto 7.10.17
Fragoroso silenzio al Nazareno, lo ius soli spaventa i vertici dem
La
paura del voto nel Pd. Cade l’alibi del pallottoliere, la maggioranza
c’è ed è anche ampia Pier Ferdinando Casini a favore, lascia ai suoi
libertà di coscienza
di Andrea Colombo
I numeri
per approvare lo Ius soli al Senato ci sono, e cade così l’alibi dietro
il quale si sono trincerati Pd e governo: 157 voti, raccolti con un
lavoro a uomo dal senatore di Ala Gianni Mazzoni e dalla capogruppo di
Si Loredana De Petris, nella quasi completa latitanza del governo e del
gruppo del Pd.
«Mancano solo quattro voti per approvare la legge»,
afferma anche l’ex ministra Cécile Kyenge. Sulla carta è così, la
maggioranza assoluta essendo di 161 voti. Però solo sulla carta: perché
lo Ius soli non è una di quelle leggi, per la verità poche, che
richiedono la maggioranza assoluta e su quella relativa contare su 157
voti significa stare in una botte di ferro. E non è neanche detto che
non venga superata nei prossimi giorni anche l’asticella dei 161 voti: 5
senatori infatti hanno chiesto tempo per riflettere. «Noi non usciremo
dall’aula per abbassare il quorum e quei numeri sono solo fantasiosi»,
replica, livido, il capogruppo di Ap alla Camera Maurizio Lupi.
NON
È VERO. I consensi sono stati verificati uno per uno, tranne
naturalmente quelli del Pd che sono stati dati per certi. Non essendo
previsto il voto segreto dovrebbero esserci tutti. Quattro vengono
proprio da Ap, anche se uno solo è targato Ncd. Gli altri sono dell’area
Casini, incluso, «per dovere di coscienza», lo stesso Pier.
Dal
gruppo misto dovrebbero arrivare un quindicina di voti ed è schierato a
favore della legge metà del gruppo Gal. Decisivo è lo schieramento dei
verdiniani. Il capogruppo Barani ha annunciato la decisione di lasciare
libertà di coscienza, aggiungendo però che la maggioranza del gruppo
sarà favorevole. A esitare sono due senatori: D’Anna e Falanga.
PER
IL PD dovrebbe essere una buona notizia. Non sembra sia così. Il
sospetto che il Nazareno stia adoperando il pallottolliere come alibi
per evitare una legge a rischio di impopolarità non è malizioso, ma
inevitabile. Il senatore Esposito, un pasdaran renziano che rappresenta
al meglio, o se si preferisce al peggio, la destra del partito, pur
essendo favorevole allo Ius soli, risponde a brutto muso a Luigi
Manconi: «Mi ha stupito la sua dichiarazione secondo cui i voti ci
sarebbero. Io non ne ho contezza ma se lui ha un conteggio che dice
questo, facciamo subito un elenco e sbrighiamoci». L’elenco, come si è
detto, c’è già e non è affatto escluso che nei prossimi giorni i
senatori favorevoli alla legge non escano tutti allo scoperto con tanto
di nome e cognome.
SUI TEMPI, il discorso è più complesso. La
strada maestra sarebbe mettere la fiducia: in caso contrario la legge
dovrebbe tornare alla Camera, col rischio di non farcela. Ma non è certo
che tutti i favorevoli siano anche disposti a votare la fiducia e
sarebbe comprensibile se il governo chiedesse di slittare sino a dopo il
varo della legge di bilancio. Anche se un’eventuale sfiducia non
avrebbe esiti negativi, essendo la legislatura già morta. La
calendarizzazione a gennaio cozza con l’intenzione di Renzi, ribadita
tra le righe anche ieri in direzione, di sciogliere le Camere subito
dopo il voto sulla finanziaria, in dicembre. Un’accelerazione alla quale
sarebbe però fermamente contrario il capo dello Stato, senza contare la
difficoltà per il segretario del Pd di impuntarsi sullo scioglimento
immediato al solo fine di impedire lo Ius soli.
IL SEGNALE più
evidente e clamoroso delle resistenze annidate ai vertici del Pd è il
silenzio in materia di Renzi – e in realtà di tutti tranne Cuperlo –
nella direzione di ieri. Un silenzio davvero fragoroso, non solo perché
già ieri era assodato che i numeri, contrariamente a quanto affermato
qualche giorno fa dalla sottosegretaria Boschi, ci sono, ma anche perché
si allarga a macchia d’olio lo sciopero della fame a staffetta promosso
da Luigi Manconi.
SONO UNA SETTANTINA i parlamentari che hanno
aderito, tra cui il ministro Graziano Delrio. Ieri si è aggiunta anche
la presidente dell’Antimafia Rosy Bindi. La destra intera si è scatenata
nel bersagliare l’iniziativa, cercando invano di ridicolizzarla, e in
particolare nel prendere di mira Delrio, la cui protesta contro il
governo di cui fa parte ha di certo un aspetto singolare. Ma alcune
critiche più puntuali sono arrivate anche dal capo dei deputati Mdp La
Forgia e, con maggior delicatezza, dalla presidente dei senatori di Si
De Petris: più degli scioperi, o oltre, sarebbe opportuno che Delrio e
il Pd si muovessero per far approvare la legge. I conti dicono che si
può fare, solo a volerlo e a non avere troppa paura.