il manifesto 6.10.17
Catalogna: danni, opportunità e pericoli
Indipendenza.
Il settore che vuole continuare a promuovere la separazione ne è uscito
rafforzato, ma ora deve giocare le proprie carte con intelligenza e
senza avventurismi, per evitare che la tensione finisca per sfociare
nella socializzazione del conflitto ben oltre gli spazi istituzionali e
pubblici
di Joan Subirats
La data del referendum
del 1 ottobre in Catalogna è trascorsa. I danni sono importanti. Circa
novecento feriti per mano della polizia e della guardia civile che hanno
cercato di far fallire il referendum. Scuole e altri spazi elettorali
danneggiati nelle stesse circostanze. Danni significativi anche per la
credibilità del governo e la possibilità di dialogare con un Partito
popolare (Pp) che si chiude davanti a qualunque soluzione, salvo colpire
con il pretesto della legalità.
Quel che è certo è che il voto di
domenica, con tutti gli ostacoli subiti e con tutti gli incidenti
avvenuti, difficilmente può servire a far avanzare la proclamazione di
indipendenza prevista; più che di un processo elettorale con garanzie,
si è trattato di un trionfo della determinazione politica dei suoi
promotori e del movimento sociale che li sostiene.
In questi
momenti la coalizione sovranista costruita intorno alla difesa della
democrazia, alla risposta alla repressione e alla necessità di una
consultazione effettiva, può indebolirsi se cerca di bruciare le tappe
senza riflettere e senza tener conto della quantità di persone che non
sono mobilitate e che su quanto sta accadendo hanno opinioni
diversificate. Occorre essere coscienti del fatto che una pluralità di
posizioni politiche e di sentimenti esisteva in Catalogna prima del 1
ottobre e continua a esistere oggi.
È importante considerare che
la giornata di domenica 1 ottobre e lo sciopero generale di martedì
contro la repressione durante le operazioni di voto, non sono stati solo
l’espressione della volontà di votare sì o no all’indipendenza. Sono la
voce di una gran parte della società catalana che non vuole essere
assoggettata e che chiede rispetto. Una società che ha guadagnato
empowerment e che vuol essere soggetto, non oggetto delle decisioni
politiche altrui. L’emozione di costruire insieme, e di farlo con le
proprie forze e risorse, dal basso, è stata evidente. I corpi delle
persone di fronte alle armi della polizia. La preoccupazione, le cure e
le attenzioni che la gente si scambiava erano molto lontane dalle scene
delle normali elezioni. Anziani, bambini, donne erano oggetti di
attenzioni speciali. Si sono viste immagini più significative di quelle
cui siamo solitamente abituati con i politici ai seggi. E anche questo è
stato un elemento da sottolineare, del 1 ottobre.
Quali
cambiamenti ha prodotto la celebrazione di questo referendum? Il
problema che avevamo in Catalogna è diventato più evidente. Ormai è
impossibile prescinderne sia a livello dello Stato spagnolo che
dell’Unione europea, come dimostrano le reazioni di portavoce ufficiali
di vari governi, le prime pagine dei principali quotidiani di tutto il
mondo e il dibattito che si è svolto mercoledì al Parlamento europeo.
Il
settore che vuole continuare a promuovere la soluzione indipendentista
ne è uscito rafforzato, ma ora deve giocare le proprie carte con
intelligenza e senza avventurismi, per evitare che la tensione finisca
per sfociare nella socializzazione del conflitto ben oltre gli spazi
istituzionali e pubblici.
Occorre anche vedere se nell’insieme
della Spagna la capacità di mobilitazione inizia a crescere, per
affrontare l’immobilismo del Pp e dei suoi alleati, e per trovare
un’alternativa al regime del 1978 che ormai dà il peggio di sé. E in
questo contesto, il Partito socialista può avere un ruolo fondamentale,
malgrado la delusione prodotta dalle dichiarazioni del leader del Psoe
Pedro Sánchez nella notte di domenica, quando ha mostrato una grande
ambiguità. Le persone più sensibili all’espressione della volontà
popolare, hanno cominciato a generare divisioni tra i dirigenti
socialisti e tra chi è coinvolto più da vicino in ciò che succede, come i
sindaci e le sindache della Catalogna, manifestando opinioni molto
diverse da quelle di Sánchez.
L’intervento del re ha suscitato
molta delusione: egli si è semplicemente messo al servizio della
posizione del governo, rafforzandone l’atteggiamento legalista e
autoritario, e senza dimostrare alcuna empatia nei confronti dei feriti e
della popolazione colpita. La tattica del negare la realtà da parte del
Pp e dei suoi alleati ha portato a questo punto. Si tratta ora di
sapere se sarà possibile andare avanti mantenendo la forza
trasformatrice e ampia del movimento sociale in marcia, cercando
alleanze all’interno e all’esterno.
La dinamica azione-repressione
che si è innescata ha favorito l’appoggio sociale alle scelte
indipendentiste, ben oltre il loro ambito effettivo. Ma questa strategia
non può rimanere in piedi a lungo perché inizia a destare
preoccupazioni e un sentimento di insicurezza in molte persone, e può
finire nello sfociare in situazioni di tensione sociale – se ne sono
visti alcuni accenni.
Nei prossimi giorni un elemento chiave
potrebbe essere il concretizzarsi dell’opzione di mediazione e dialogo
proposta dalle sindache di Madrid, Manuela Carmena, e di Barcellona, Ada
Colau. L’accoglienza è stata un ottima accoglienza. Ma è preoccupante
la visione angusta e rigida del governo di Madrid il quale continua a
sostenere un intervento giudiziale punitivo, mentre l’Unione europea dal
canto suo che si è limitata a esprimere preoccupazione per la violenza e
insistere che si tratta di una questione interna spagnola. Sono
concezioni diverse della democrazia. Da un lato, quelli che pensano che è
democratico solo ciò che è legale, e che si fa politica solo nelle
istituzioni. Dall’altro, quelli per i quali la grande virtù della
democrazia è proprio la capacità di accettare il conflitto come leva per
l’innovazione e la trasformazione, se avviene in modo pacifico e con la
volontà e il coinvolgimento diretto della cittadinanza.