il manifesto 22.10.17
Comunisti alla riscossa in Giappone
Oggi
si vota. Dopo il successo a Tokyo, il Partito ha la chance di guidare
l’opposizione. Con la mano tesa agli epurati democratici e ai movimenti
di sinistra
di Stefano Lippiello
Per il Partito
comunista giapponese quella in corso è una campagna elettorale storica.
Sul Partito grava la responsabilità di reggere la bandiera della
sinistra giapponese dopo la dissoluzione del Partito democratico, che
era stato fino ad ora la principale forza di opposizione del paese.
Pochi
giorni dopo lo scioglimento della camera bassa è arrivato l’annuncio da
parte della governatrice di Tokyo, Yuriko Koike, della formazione di un
suo Partito della speranza. Seiji Maehara, il capo del Partito
democratico, è saltato sul carro, finora vincente, della governatrice
portandosi dietro i deputati a lei graditi e le cospicue casse del
partito. Fuori, invece, sono restati tutti i candidati giudicati troppo a
sinistra dalla governatrice.
IL CONGRESSO del Partito democratico
a inizio settembre è stata la premessa di questo cambiamento di rotta.
Maehara – oppositore dell’alleanza con i comunisti – si era imposto su
Yukio Edano, tra i fautori del fronte unito delle opposizioni.
Dopo
la dissoluzione del Pd, il Partito comunista ha scelto di sostenere i
candidati rifiutati da Koike nei collegi uninominali, portando così
avanti la politica di unità delle opposizioni e dei movimenti.
Il
fronte comune è frutto anche del paziente e pragmatico lavoro degli
ultimi anni dell’Alleanza Civica per la pace e il costituzionalismo, un
gruppo di associazioni e movimenti che punta proprio ad allargare la
partecipazione elettorale e ad avvicinare i partiti di sinistra in una
piattaforma comune.
Per i leader dell’Alleanza il ruolo
dell’astensionismo, da anni vicino al 50%, sarebbe stato determinante
nelle vittorie del Partito liberaldemocratico dal 2012 in poi.
LA
RISCOSSA DEGLI EPURATI del Pd è partita da Twitter. Edano, il punto di
riferimento della sinistra liberale, è stato abbandonato dal partito, ma
non dagli elettori e ha avuto in breve tempo più sostenitori sul social
media del partito stesso.
Ha scelto così di raggruppare le forze
della sinistra liberale nel nuovo Partito democratico costituzionale, al
quale anche l’Alleanza civica e la Rengo (la principale federazione
sindacale giapponese) hanno dato il proprio supporto.
Sul campo la collaborazione procede, però, a macchia di leopardo.
Troppo
profonde sarebbero le differenze, e soprattutto le diffidenze, in certi
distretti. Infatti, non in tutti i collegi uninominali è riuscita la
presentazione di un candidato unico.
Al centro la leader del Partito della Speranza e governatrice di Tokyo, Yuriko Koike
Al centro la leader del Partito della Speranza e governatrice di Tokyo, Yuriko Koike
Raccontano
degli attivisti di ritorno da un incontro tra le due liste nella
periferia di Osaka che l’atmosfera dell’incontro però era molto buona e
al momento gli sguardi sono più che altro puntati sulla possibile
collaborazione di lungo periodo. Questo è soprattutto dovuto ai tempi
ristretti di queste elezioni anticipate, spiegano. Il Partito
democratico costituzionale è nato così in fretta da non aver avuto un
vero dibattito interno.
Lo studioso di politica giapponese Shirai
Satoshi spiega che la diffidenza verso i comunisti è un fattore
determinante per molti appartenenti alla sinistra liberale. Questo
sarebbe dovuto in primo luogo al supporto della Rengo per il Partito
democratico costituzionale in queste elezioni.
La Rengo è in netta
opposizione ai sindacati comunisti su molte scelte di fondo. Questo
conflitto, continua Shirai, affonda a sua volta le sue radici nella
storica competizione tra il Partito comunista giapponese e il Partito
socialista (entrato poi nel Pd) per l’egemonia a sinistra.
Se gli
anni più duri del conflitto sono ormai alle spalle, resta nella mente di
molti dirigenti un ostacolo a una sincera collaborazione.
QUESTA
DIVERGENZA ha altre ripercussioni concrete. Una delle questioni
politiche più pressanti, ma meno dibattute in campagna elettorale, è
posta dalla politica nucleare della Corea del Nord. Nel dibattito
interno ciò si allaccia alla riforma della clausola di pace della
costituzione, con la quale il Giappone rinuncia alla guerra.
Il
Partito liberaldemocratico del premier Shinzo Abe ne vuole la revisione,
mentre il Partito comunista la difende, ma vorrebbe la fine del
trattato militare con gli Stati uniti.
Per Shirai questo sarà il
terreno su cui il fronte comune con il nuovo Partito democratico
costituzionale – difensore della clausola di pace, ma più ambiguo
sull’alleanza con gli Usa – vedrà la sua prova maggiore, in particolare
sulla questione della nuova base americana a Okinawa, che incontra una
forte resistenza locale.
IL MOTTO DEL PARTITO comunista al
congresso di gennaio era stato di trasformare le «tre ondate di
avanzamento» in una «corrente in piena», riferimento questo all’aumento
progressivo di voti ottenuto nelle tre passate elezioni.
Poi è
arrivata l’estate con il successo oltre le aspettative nella città di
Tokyo e ora la chance di guidare l’opposizione con la mano tesa agli
alleati. La marea sembra montante.