il manifesto 22.10.17
La crescente deriva xenofoba del Partito popolare europeo
Ultranazionalismi.
Dopo la recente vittoria di Kurz in Austria, il baricentro dei popolari
si sposta sempre più a destra. Normalizzazione degli estremisti di
destra e del discorso razzista e le ripetute aperture di credito del
mondo conservatore verso questi ambienti ha fatto sì che i partiti
conservatori ne hanno di fatto sposato i programmi
di Guido Caldiron
Quando,
nell’autunno del 2000 l’allora cancelliere Schüssel, esponente del
Partito Popolare aprì la strada del governo di Vienna ai
liberal-nazionali dell’Fpö di Haider spiegò che per quella via si
sarebbe neutralizzata la spinta della nuova destra.
La recente
affermazione elettorale di Sebastian Kurz, tra gli eredi di Schüssel
alla guida dei democristiani, segnata dal recupero delle parole d’ordine
degli ultranazionalisti su migranti, Islam e Europa, indica come sia
avvenuto esattamente il contrario.
Da un lato la progressiva
«normalizzazione» degli estremisti di destra e del discorso razzista nel
dibattito pubblico, accompagnata dall’acquisizione costante di temi
securitari e identitari – deriva da cui non è esente anche una parte del
centro-sinistra -, ha finito per legittimare tali partiti.
Dall’altro,
le ripetute aperture di credito del mondo conservatore verso questi
ambienti e il prendere corpo di un’inedita area di «destra della destra»
dove presunti moderati e estremisti conclamati intrecciano scambi,
relazioni, progetti, si è tradotto in un significativo spostamento verso
destra dello stesso «centro».
Al punto che al termine del ciclo
elettorale del 2017 si può rilevare come la temuta affermazione dei
«populisti di destra» sia spesso stata evitata ma al prezzo di veder
trionfare partiti conservatori che ne hanno di fatto sposato i
programmi.
Così, se all’inizio del nuovo millennio il varo della
coalizione Schüssel-Haider faceva seguito a quanto accaduto nel
laboratorio italiano della «destra plurale», formatasi sotto l’egida di
Silvio Berlusconi fin dagli anni Novanta, cui il Ppe ha ribadito del
resto il proprio sostegno nel vertice che si è svolto giovedi a
Bruxelles, oggi il profilo e la strategia di Sebastian Kurz, che si
appresta a governare con l’estrema destra e ad applicarne in gran parte
le odiose ricette, rappresentano tutt’altro che un’eccezione.
Appartengono
infatti al Partito popolare europeo sia il movimento Fidesz
dell’ungherese Viktor Orbán, fautore della «democrazia illiberale», che
il Partito conservatore norvegese di Erna Solberg che ha appena
rinnovato il proprio patto di governo con il Fremskrittpartiet,
movimento nazionalista e anti-immigrati a cui era iscritto lo stragista
di Oslo, Anders Behring Breivik.
Del resto, proprio in
Scandinavia, per 10 degli ultimi 16 anni, l’esecutivo di centrodestra
danese guidato dai liberali, che governano ancora a Copenhagen, ha
vissuto solo grazie all’appoggio esterno del Partito del popolo, già
alleato del Front National francese, che ha imposto una drastica stretta
in materia di immigrazione e diritto d’asilo.
Liberal-conservatore
è inoltre anche l’olandese Mark Rutte, riconfermato primo ministro, che
ha fermato gli islamofobi di Geert Wilders, legati a Le Pen, ma grazie
ad una campagna elettorale talmente ispirata alla xenofobia da far
parlare Amnesty di «retorica tossica».
E alla famiglia liberale
appartiene anche l’Azione dei Cittadini Insoddisfatti, Ano 2011, il
movimento populista guidato dal miliardario Andrej Babiš, soprannominato
dalla stampa locale «Babisconi» per le similitudini con il fondatore di
Forza Italia, che i sondaggi indicano come probabile vincitore delle
elezioni in corso nella Repubblica Ceca.
In Francia, dove alcuni
politologi hanno paragonato Kurz a Nicolas Sarkozy, che ha inseguito a
lungo l’estrema destra, il probabile nuovo leader dei Républicains,
anch’essi nel Ppe, Laurent Wauquiez, ha spiegato di volere «una destra
che sia veramente di destra: patriottica e contro immigrazione e
islamismo».
Quando poi la concorrenza sui medesimi contenuti non è
sufficiente, il centrodestra rischia di dividersi proprio sull’adozione
o meno di politiche in linea con gli estremisti.
Come ha indicato
la Brexit, che ha spaccato i Conservatori britannici, per altro già
partner in Europa dei nazional-cattolici polacchi di Diritto e giustizia
che governano a Varsavia dal 2015, o lo stesso caso dell’Alternative
für Deutschland che raccoglie anche i consensi dei neonazisti ma è
guidata da ex esponenti della Cdu di Angela Merkel, partito da cui
provengono anche metà dei circa 6 milioni di voti che ha raccolto di
recente.